Il bianco. La purezza, l’abito della sposa, i capelli degli anziani, i denti ben curati, un foglio sul quale ancora non è stato scritto nulla, il bucato, la farina, il marmo, il vino, il latte, un matrimonio non consumato, una mosca rara, una notte insonne, un corteggiamento fallito, il semestre durante il quale non si può votare il presidente della Repubblica, la tonaca dei domenicani, un tipo di sciopero, la fazione capeggiata dai Cerchi nella Firenze di Dante, la neve, una settimana passata a sciare, un’arma da taglio, una fiduciosa delega, una scheda elettorale senza alcuna scelta, la metà degli scacchi che muove per prima, la bandiera della resa, i leucociti, una lega mutualistica di ispirazione cattolica, pesci, carni, la voce non virile, la rosa simbolo degli oppositori di Hitler, mangiare senza condimenti, un assegno con solo la firma, gli insorti della Vandea, un orso.
Quanto bianco! Il simbolo stesso della vita, contrapposto al nero della morte. Il giorno che scaccia le tenebre. La luce del sole, che contiene tutti i colori. La sintesi visiva dello spettro luminoso. Ora, al termine della scala cromatica che aveva come dominante il sanguigno rosso, l’allarme massimo, passando per il temuto arancione e lo speranzoso giallo, l’Italia si accende di nuova verginità. Libera e candida. O almeno così dovrebbe essere. Non basta passare una mano di pallida biacca per cancellare le vecchie magagne.
Eppure, il dubbio che si voglia subito sporcare il riconquistato nitore è più che lecito. Servirebbe una sorta di fase costituente, basata sul confronto, anche aspro, ma nel rispetto del dialogo e delle ragioni dell’altro. E invece la politica dà il peggio di sé. La destra vuole la resa dei conti. Nel Paese siamo la maggioranza, il futuro è nostro, dicono, nella reciproca rincorsa, Giorgia Meloni e Matteo Salvini. La sola ipotesi di fare Silvio Berlusconi capo dello Stato rivela il senso di una ostentata onnipotenza. Non è credibile ma serve per mostrare i muscoli. Enrico Letta presidia il campo del Pd innalzando bandiere identitarie mentre Giuseppe Conte cerca di riorganizzare le disorientate truppe dei Cinque Stelle. I sondaggi continuano a dare per perdente tutta la sinistra ma almeno si vuole impedire la rotta. Sarà battaglia. E poi i risultati, come dimostra il recente caso della Sassonia, spesso non coincidono con le previsioni. Gli umori profondi di un Paese sono di difficile lettura.
Mario Draghi va avanti con il proprio metodo. Efficienza, competenza, decisione. Un dittatore discreto e benevolo, in un simulacro di dialettica parlamentare. Ha tutto in mano lui, con la copertura di Sergio Mattarella. Non sembra turbato dalla diatriba se sia meglio che resti a Palazzo Chigi o vada per sette anni al Quirinale. Vedremo. Molto dipende dalla capacità di realizzare quelle riforme, giustizia, fisco, burocrazia, lavoro, che l’Europa pretende in cambio di una pioggia di miliardi. Qui si parrà la sua nobilitate. Riuscirà nell’intento o la spinta propagandistica della Lega finirà con il travolgerlo? La corda può spezzarsi in qualsiasi momento.
Ma come sono gli italiani, oggi? Prima della pandemia il Censis dipingeva una società cupa e rabbiosa, poi, nei mesi del virus, impaurita e sgomenta. Ora non servono sofisticate analisi sociologiche per capire che la voglia di vivere si intreccia con l’ansia economica, anche se a prevalere sembra la prima. “Un tavolo tecnico per decidere quante persone possono sedere al tavolo”, ha annunciato con ingenua e cacofonica enfasi ripetitiva un cronista radiofonico che tentava di spiegare le decisioni sugli ingressi al ristorante. Perché tale, da settimane, sembra la priorità. Insieme con il coprifuoco e la riapertura delle discoteche. “E’ mezzanotte/anzi lo era/ tra un bacio e l’altro ormai rintoccano le due/ ma non importa/ io sono felice/voglio restare abbracciato con te/ fino alle tre!”, cantava, con un saltino finale, il buon Joe Sentieri. Lallalà, lallalà. Potrebbe diventare l’inno dell’Italia in bianco.
Un allegro candore per dimenticare i tremendi mesi del morbo. Ma il desiderio di spensieratezza non deve trasformarsi in ottusa dabbenaggine. Possibile non vedere quanti cambiamenti sono avvenuti fuori e dentro di noi? Quante modifiche, quante mutazioni, quante cancellazioni.
“Ha dato di bianco a di gran cose, la peste!”. Parola di Alessandro Manzoni.
Marco Cianca