Il pessimismo sembra regnare sovrano nel governo gialloverde. È stato addirittura il ministro dell’Economia Giovanni Tria ad affermare che la situazione della nostra economia potrebbe peggiorare. Lui è sicuro che supereremo queste traversie, a suo avviso solo temporanee, ma al momento è spaventato dal peggioramento. Difficile dargli torto, anche se gli ottimisti non mancano. Carlo Messina, per esempio. L’Ad di Intesa San Paolo ha recentemente affermato che i fondamentali della nostra economia sono molto solidi, tanto che, a suo avviso, un giusto spread tra i titoli del nostro paese e quelli tedeschi sarebbe di 150 punti, non certo gli attuali 300, ingiustificati. Non ha sposato le indicazioni di prospettiva del governo sulla crescita, ha affermato però che certamente quest’anno cresceremo almeno dell’1%, e questo è già un risultato.
Ma anche Moody’s, l’agenzia di rating che a fine ottobre ha declassato di un gradino i nostri titoli di stato, da Baa2 a Baa3, un passo dal livello spazzatura, ha riportato a stabile l’outlook sul nostro paese affermando che l’Italia dispone ancora di “importanti punti di forza che controbilanciano l’indebolimento delle prospettive sui conti”. Tra questi “un’economia ampia e molto diversificata, una solida posizione con l’estero, un consistente avanzo delle partite correnti, un bilancio delle partite da e per l’estero quasi in equilibrio”.
Insomma, tanto male non stiamo. Il punto però è capire quanto questa situazione sia stabile, se cioè è possibile che questi punti di forza restino o se invece la situazione rischi di precipitare. Uno spread che, a torto o a ragione, comunque sta sopra i 300 punti ( il 19 ottobre era salito fino a 340 punti) fa comunque paura, perché quell’indicatore è molto seguito e tanti piani di imprese e investitori lo guardano per capire se devono o meno invertire i loro investimenti. E altrettanta paura fa la crescita, lenta ma, sembra, inesorabile, degli interessi pagati per il collocamento dei titoli di stato. Le aste dei Bpt fanno segnare una domanda ancora alta, più alta dell’offerta da parte del Tesoro. Ma gli interessi stanno crescendo, da giugno ormai, dal momento in cui il governo è entrato nel pieno dei suoi poteri. E quelle risorse spese in più per collocare i titoli rappresentano un onere crescente, che tra l’altro da un momento all’altro può accelerare bruscamente senza poter essere fermato.
Insomma, la nostra appare come un’economia in bilico, tutto è possibile. A spingere verso il pessimismo è però il comportamento dei protagonisti. Da una parte gli investitori. Che sembrano anche troppo prudenti. Gli investimenti, soprattutto quelli in beni strumentali, stanno rallentando, non crescono, anzi diminuiscono rispetto al passato. E se non si comprano più macchine utensili è difficile che poi salga la produzione industriale, che si fa appunto con quelle macchine. È più probabile che accada il contrario, che scenda e dia così un nuovo segnale negativo. E infatti gli indici della produzione stanno rallentando pericolosamente
E del resto non è strano che gli investimenti, specie quelli in macchine utensili, calino. Perché gli imprenditori spendono quando hanno qualche certezza sull’esito del loro investimento. Servono loro delle certezze, ma sono proprio queste a latitare. Fa fede quanto accaduto in merito all’occupazione. Il decreto dignità, così pomposamente chiamato, ha provocato un drastico rallentamento delle assunzioni con contratti a termine, perché ne è aumentato il costo e soprattutto perché è ormai impossibile tenere occupata una persona più di dodici mesi, dal momento che a quel momento scatta l’obbligo di indicare la causale, che gli imprenditori temono perché foriera di liti in tribunali. In più, la Corte costituzionale ha azzerato il metodo del Jobs Act per calcolare l’entità del risarcimento in caso di licenziamento. Prima il governo ha aumentato questi risarcimenti del 50%, poi la Corte ha stabilito che l’unico parametro di calcolo non può essere l’anzianità, ma il giudice deve poter disporre di più parametri. La conseguenza è che non c’è più certezza, non si sa quanto un lavoratore assunto con un contratto a termine potrà restare in un’impresa e non si sa quanto costerebbe licenziarlo. Ma sono proprio le certezze che spingono l’imprenditore a investire, ad occupare persone, in una parola a rischiare il proprio danaro. E così l’economia langue, si esaurisce. Calano i posti di lavoro, cala la sicurezza, si indeboliscono i legami di solidarietà.
Il governo, poi, ci mette del suo abbattendo tutti i piani di opere pubbliche, che pure rappresentano spesso il volano su cui far decollare un’economia in difficoltà. Alessandro Genovesi, il segretario degli edili della Cgil, ha descritto a Il diario del lavoro la difficile situazione delle opere pubbliche, tutte sottoposte ad analisi costi benefici, che non sono nemmeno iniziati e che difficilmente potranno portare a risultati positivi. Il governo, per preconcetti ideologici, ignoranza o noncuranza sta fermando un mondo che dava lavoro a decine di migliaia di persone, creando le premesse per una caduta generale dell’economia.
Insomma, la triste prospettiva è che non saranno le sanzioni dell’Unione europea ad asfaltare la nostra economia. Lo sta già facendo il governo, con ottimi risultati.
Massimo Mascini