Oggi, 31 maggio, una delegazione della Cgil, guidata dal segretario generale Maurizio Landini, si è recata a rendere omaggio alla tomba di Luciano Lama nell’anniversario della scomparsa. Idealmente sono con loro per la stima e l’affetto che mi legavano a Luciano. Mi sono spesso domandato in queste ultime ore – man mano che si avvicinava la ricorrenza – se ai defunti è concesso seguire la corsa della vita che continua e magari farsene un’opinione e vedere col razionale disincanto di chi è fuori dalla mischia e dalle miserie quotidiane le vere motivazioni di quanto d’inspiegabile con i nostri metri di misura sta succedendo intorno a noi, intenti ad attraversare questa ‘’valle di lacrime’’.
Nonostante che abbia ritrovato la fede, non riesco ad immaginare che il ‘’caro estinto’’ segua i nostri percorsi, appollaiato su di una nuvoletta, in attesa della resurrezione della carne. L’essere umano è immortale per altre ragioni: perché la rete degli affetti, delle relazioni con le altre persone; le opere compiute in vita, nel bene come nel male, si sono intersecate con altre storie e con altri destini e diffuse a rete, trasmettendosi per generazioni. Ciò è vero soprattutto per i grandi leader (non solo politici e sindacali) nei campi di loro competenza. Se è questa l’essenza dell’immortalità dell’anima, dobbiamo credere che Luciano Lama veda la realtà attraverso i nostri occhi, condivida le nostre preoccupazioni, come noi si stupisca nell’assistere a cambiamenti che non ci saremmo mai aspettati. Quali possono essere i pensieri di Luciano, oggi, al cospetto di milioni di lavoratori (anche iscritti alla Cgil) che si stanno raccogliendo sotto le bandiere del Carroccio, nella fase politica in cui questo partito si sta trasformando in una formazione di destra, forse anche un tantino estremista? Immagino che Landini, dovendo rispondere a bruciapelo a questa domanda, comincerebbe tirando in ballo le opinioni dei lavoratori. Ma Lama gli chiuderebbe subito la bocca come faceva con noi quando scaricavamo le nostre responsabilità sugli operai e gli impiegati che non seguivano le nostre direttive ed iniziative.
‘’Lo so bene che cosa dicono i lavoratori – replicava Lama – mi interessa conoscere come rispondi tu a loro’’. Era il modo secco di affermare il concetto di leadership come assunzione di responsabilità, come funzione educativa, senza vergognarsi di essere una élite. Tra un dirigente sindacale e i lavoratori deve determinarsi un trasfert fondato sull’esperienza, il coraggio di rappresentare la realtà per quella che è, la capacità di ‘’spendersi’’ e soprattutto la reciproca fiducia. Il dirigente sindacale deve sforzarsi di intuire in anticipo, nel gestire una vertenza, dove sta il punto di mediazione soddisfacente tra le rivendicazioni dei lavoratori e la realtà dei rapporti di forza. E deve anche sapere che non esiste un’ultima spiaggia e che una sconfitta dell’oggi – se si mantiene un legame di fiducia con i lavoratori – potrebbe tradursi in una vittoria domani.
Lama ci ha insegnato ad osservare la Luna e non il dito che la indica: l’attuale maggioranza ribaltata non è la conseguenza di un’occasionale sbornia dell’elettorato, bensì l’espressione di un cambiamento profondo dei valori che costituiscono l’anima di un popolo, la cultura di una nazione. Se così non fosse l’opinione pubblica non sarebbe ‘’mitridatizzata’’ dalla volgarità di taluni esponenti, dalla stupidità di altri, dalla gravità di alcune condotte e di alcune politiche (penso al caso dell’abolizione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado), dalla violenza nei confronti delle istituzioni democratiche (come è accaduto in occasione della legge di bilancio 2019), dai sentimenti disumani che inducano a considerare degli ‘’invasori’’ ostili quei poveracci che attraversano il Canale di Sicilia, praticamente a nuoto, della cui sorte ci disinteressiamo.
Ecco perché ritengo difficilmente recuperabile, soprattutto nell’arco di tempo che mi resta da vivere, l’Italia migliore che ho avuto la fortuna di conoscere. L’Italia di Lama. E mi sconcertano le analisi che si fermano alla sovrastruttura (come si diceva una volta) che attribuiscono la crisi ad eventi contingenti e del tutto marginali (‘’ci hanno identificato con le èlite’’, ‘’siamo stati votati solo nei quartieri alti’’, ‘’non abbiamo assecondato le speranze di cambiamento’’ e quant’altro) al solo scopo di nascondere a noi stessi la tragedia che vive il Paese. E’ cambiata la testa della gente. Salvini vince perché racconta agli elettori ciò che loro vogliono sentire. Cose che Lama non avrebbe mai detto. Sarà anche vero che ciò che è reale è anche razionale. Ma nessuno ci obbliga a essere realisti.
Giuliano Cazzola