Ispirato da un pescatore di Bagnara Calabra, Matteo Salvini ha di nuovo evocato l’uscita dall’Unione: “O l’Europa cambia o non ha senso morire soffocati in una gabbia”. “Noi stiamo lavorando per modificare le regole dall’interno”, ha tenuto a precisare, aggiungendo però subito dopo che “se ti dicono sempre no, se ti prendono a pernacchie, poi il popolo farà la sua scelta”. Sotto accusa il bilancio comunitario, tacciato di essere dannoso per il nostro Paese in quasi tutti i campi: immigrazione, commercio, agricoltura, finanza, tasse, lavoro, crescita, sviluppo.
Vittorio Feltri gli ha subito dato ragione, esortando a “fare come Boris Johnson”: “Non è mai troppo tardi per rimediare ad un errore…So che il capo della Lega sarà vituperato per tale sua uscita, ma è il motivo che ci spinge ad approvarne l’idea, l’unica risolutiva per restituire all’Italia la spinta che le manca per eccellere di nuovo”.Tattica demagogica per recuperare quella parte dell’elettorato sovranista che a lui preferisce Giorgia Meloni, è invece la tesi di Alessandro Sallusti, il quale sostiene che a destra è in atto “una gara a chi la spara più grossa per vedere l’effetto che fa nei sondaggi”. Qual è la spiegazione corretta? Fatto sta che il fantasma dell’Italexit mette paura, perché sotto sotto la convinzione che gli inglesi abbiano fatto bene e che noi dobbiamo riprenderci la nostra piena sovranità e tornare alla lira, è largamente diffusa. Condivisa, temiamo, dalla maggioranza degli italiani.
Trionfa la cultura del tanto peggio, tanto meglio. Andrebbero riprese e spiegate quelle differenze enormi che passano tra Patria e Nazione. La prima, nel cui ambito è cresciuta l’utopia degli Stati Uniti d’Europa, vuole dire radici comuni, un sentire civile, un riconoscimento delle diversità, una capacità di inclusione, un orizzonte progettuale; la seconda, che tocca la sua vetta nei regimi totalitari, significa egoismo collettivo, particolarismo, muri, confini e cannoni per proteggerli.
Come riprendere il cammino? Come superare lo sconforto della presente desolazione concettuale? Di certo, togliere dalla polvere e diffondere gli scritti di coloro che hanno sacrificato la loro vita per la libertà, la giustizia, l’equità sociale. In carcere con colui che nel 1945 sarebbe diventato presidente del consiglio, Carlo Rosselli scriveva: “Parri è la mia seconda coscienza, il mio fratello maggiore…Questi uomini alti e puri scherzano, ridono, amano come tutti gli altri. Ma c’è nel fondo del loro essere come una specie di disperazione cosmica. La vita è per loro dovere. Fino alla conoscenza di Parri, l’eroe mazziniano mi era parso astratto e retorico. Ora me lo vedo steso vicino, con tutto il dolore del mondo, ma anche con tutta la morale energia del mondo, incisa nel volto”:
Il doverismo. Meditate, Salvini e Renzi. Meditate.
Marco Cianca