“La consultazione dei lavoratori che, come Cgil, faremo sull’accordo del 10 gennaio sarà una consultazione su un accordo, non un nuovo congresso.”Questa affermazione, fatta da Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, nel corso della conferenza stampa da lei tenuta oggi a Roma, può apparire pleonastica, ma un senso ce l’ha. E cercare di capire quale senso abbia può essere la strada giusta per arrivare a cogliere la complessità, e le difficoltà, della situazione che si è creata, in modo abbastanza repentino, all’interno della maggior confederazione sindacale del nostro paese.
Quest’anno, il 2014, per la Cgil è un anno congressuale. Questo significa che ai primi di gennaio è iniziato, con le assemblee degli iscritti nei luoghi di lavoro, quel processo che – attraverso i congressi provinciali e regionali, nonché attraverso i congressi nazionali delle varie federazioni di categoria – porterà, in maggio, al congresso nazionale.
Quattro anni fa, nel 2010, il congresso della Cgil fu tenuto su due documenti contrapposti. Uno di maggioranza, presentato dal leader uscente, Guglielmo Epifani, firmato anche da Susanna Camusso, candidata a succedergli. L’altro di minoranza, presentato dall’allora segretario generale Fiom, Gianni Rinaldini, e, tra gli altri, da Maurizio Landini. Lo scontro fra i sostenitori dell’uno o dell’altro documento, in alcune categorie, fu particolarmente aspro, e – nonostante la chiara vittoria della maggioranza, che raccolse oltre l’80% dei consensi – lasciò dietro di sé una scia non solo visibile, ma anche amara.
In vista del congresso 2014, la nuova leader della Cgil ha cercato di evitare di ripetere lo schema del 2010. Ciò, principalmente, in base alla considerazione che, dopo altri quattro anni di dura crisi economica, le menti e i cuori di lavoratrici e lavoratori sono dominati da più che giustificate preoccupazione per l’avvenire produttivo delle proprie aziende e per quello occupazionale dei propri figli. Presentarsi nuovamente in fabbrica con due documenti contrapposti, insomma, rischiava di essere controproducente perché un simile comportamento del gruppo dirigente, invece di suscitare l’interesse degli iscritti per i contenuti dei documenti, avrebbe potuto provocare un giudizio negativo su un’organizzazione che, complessivamente, non riusciva a trovare la via di una risposta unitaria nemmeno in una fase drammatica come quella della crisi economica globale apertasi nell’ormai lontano 2008.
Negli ultimi mesi del 2013, pareva che l’accordo in Cgil fosse stato trovato, dal momento che i leader delle due principali tendenze, Camusso e Landini, erano riusciti a convergere su un unico documento. E il fatto che Giorgio Cremaschi, ex alleato di Rinaldini e Landini, si fosse chiamato fuori dall’accordo, decidendo di presentare un proprio documento, non pareva alterare sostanzialmente questo quadro, dato lo scarso seguito di cui dispone.
Ma ecco che, nei primi giorni del 2014, la situazione muta di colpo. Il 10 gennaio Cgil, Cisl e Uil firmano con Confindustria il regolamento attuativo dell’intesa del 31 maggio 2013 sulla misurazione della rappresentatività dei sindacati e, quindi, su nuove modalità di esercitare la loro capacità di rappresentare contrattualmente i lavoratori. Per un breve momento, l’approvazione unitaria di questo regolamento, che nel gergo sindacale viene ormai definito Testo Unico, sembra costituire il punto d’approdo di una vicenda avviata con la firma dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011.
In sostanza, mentre nel 2009, auspice il ministro Pdl del Lavoro, Maurizio Sacconi, Cisl e Uil sceglievano la via della separazione contrattuale dalla Cgil come asse strategico del proprio rapporto con Confindustria, il faticoso percorso che porta dall’intesa unitaria del 28 giugno 2011 a quella del 10 gennaio 2014 disegna un nuovo assetto delle relazioni industriali in cui sia la Confindustria che Cgil, Cisl, Uil sembrano aver deciso di lasciarsi alle spalle la contrastata e infruttuosa stagione degli accordi separati.
In teoria, un osservatore esterno avrebbe potuto aspettarsi che in Cgil tutti suonassero le trombe di un inno trionfale. Ma non è così. La maggioranza Fiom, guidata da Landini, parte lancia in resta contro l’intesa del 10 gennaio sollevando numerosi problemi di merito e di metodo circa i contenuti dell’intesa e le modalità con cui è stata condivisa dalla Cgil.
In particolare, al direttivo Cgil del 17 gennaio, Landini sostiene che i lavoratori devono potersi esprimere col voto sull’intesa firmata dalla segreteria della confederazione. In una seconda riunione, tenuta dallo stesso direttivo il 26 febbraio, la segreteria Cgil, per bocca del responsabile dell’ufficio di organizzazione, Vincenzo Scudiere, annuncia che nel corso del mese di marzo si terrà tra i lavoratori la consultazione sul Testo Unico. Ma non basta. Le modalità della consultazione vengono respinte da Landini. In particolare, un punto di dissenso sta nel fatto che la maggioranza Fiom ha chiesto che le assemblee vengano introdotte da due relazioni contrapposte (una favorevole e l’altra avversa all’intesa), mentre la Cgil sostiene che, tradizionalmente, le assemblee su materie contrattuali vengono aperte da una sola relazione in cui viene presentata la posizione dell’organizzazione. E ciò appunto perché, ha sostenuto oggi Camusso, mentre in un congresso possono legittimamente e paritariamente confrontarsi opinioni diverse, in materia contrattuale la Cgil ha il dovere di presentarsi, sia di fronte alla controparte che di fronte ai lavoratori, con una posizione definita.
Altro punto di dissenso è quello relativo alla platea dei lavoratori da consultare. Solo i dipendenti delle aziende aderenti alla Confindustria, dice in un primo momento la Fiom. Anche quelli delle imprese aderenti a Confservizi, che hanno firmato l’intesa il 10 febbraio, replica la Cgil. Che vuole estendere la consultazione anche a tutti i lavoratori dipendenti da imprese private che, secondo la stessa Cgil, sarebbe positivo coinvolgere nell’intesa.
Nella conferenza stampa odierna, un giornalista prospetta al segretario generale della Cgil l’ipotesi che la Fiom, non accettando le modalità della consultazione definite dal direttivo confederale del 26 febbraio, possa non partecipare alla consultazione stessa. “Mi auguro che il comitato centrale della Fiom non sottragga agli iscritti Fiom la possibilità di votare sull’intesa del 10 gennaio”, risponde Camusso. Ma la conferenza stampa è finita da poco quando nelle redazioni arriva il testo di una durissima dichiarazione in cui Landini afferma che la soluzione proposta dalla maggioranza Cgil “assume i contorni di un imbroglio politico che le persone che lavorano non meritano”.
L’intesa unitaria sul congresso Cgil appare insomma definitivamente saltata, anche se non è chiaro come questa rottura possa essere gestita di qui alle assise convocate per il prossimo maggio. Lunedì 3 marzo il comitato centrale Fiom, convocato oggi in tarda mattinata, è intanto chiamato a scrivere un’altra puntata di una storia sempre più intricata e sempre più gravida di conseguenze la cui portata è ancora difficile da valutare.
di Fernando Liuzzi