Si stanno concludendo in questi giorni i congressi della Cgil: nella settimana appena trascorsa si sono svolti quelli delle principali categorie, dalla prossima si andrà di volata verso l’appuntamento nazionale, a metà marzo. Il tutto, va detto, si è svolto senza praticamente alcuna eco sui media, anzi, nel quasi totale disinteresse: il che è davvero un peccato, perché’ mai come quest’anno sarebbe stato invece interessante occuparsene. Per almeno tre ragioni. La prima sta nel numero enorme di persone coinvolte: sono un milione e mezzo coloro che hanno partecipato ai vari appuntamenti, dalle assemblee locali fino ai congressi nazionali. In un paese dove sembra ormai impossibile anche convincere la gente a votare, il solo fatto di riuscire a coinvolgere così tanti in un dibattito collettivo dovrebbe essere motivo di studio (oltre che di invidia da parte della politica).
L’altra ragione di interesse sta nel fatto che questa tornata congressuale ha rappresentato la prima occasione nella quale il gruppo dirigente cigiellino ha potuto incontrare “fisicamente” la sua base dopo il distanziamento imposto dalla pandemia. E di conseguenza ha potuto confrontarsi direttamente sui bisogni e le aspettative, ottenendo un riscontro diretto da parte dei lavoratori sull’operato svolto in questi tre complicatissimi anni.
Il terzo motivo, infine, è anche quello di maggior peso: a differenza del precedente congresso di quattro anni fa, questa volta non c’è in ballo il cambio ai vertici della Cgil. E se questo ha probabilmente contribuito al disinteresse dei media (la scorsa volta i giornali erano pieni della contesa Landini-Colla), ha però avuto il pregio di “liberare” il dibattito congressuale dalla necessità di schierarsi con l’uno o con l’altro, aprendo così la strada a una discussione assai intensa su una vastità di argomenti. Se il precedente congresso era tutto schiacciato sulla contrapposizione tra Landini e Colla, insomma, stavolta hanno invece potuto emergere dalle discussioni una serie di proposte e progetti legati ai temi contingenti del paese. A partire ovviamente dalle grandi transizioni, energetica, ambientale, digitale, che stanno cambiando radicalmente il mondo della produzione, e sulle quali sono state avanzate in diversi congressi proposte e analisi di grande spessore, ma non mancando di affrontare anche il rapporto -assai delicato- tra la Cgil e la politica, la sinistra, il governo, così come quello con le altre due confederazioni.
Fare una sintesi di quanto emerso in queste settimane di discussione non è semplice, ma qualche elemento vale la pena di appuntarlo, perché è prevedibile che avrà sviluppi. Proviamo a elencarne qualcuno. Intanto, è emerso con nettezza che i rapporti con Cisl e Uil destano forte preoccupazione. Che l’unità sindacale sia oggi ai minimi storici è un allarme lanciato un po’ da tutti; e questo è visto anche come un freno rispetto alle possibili iniziative rispetto al confronto col governo.
Il rapporto con l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni è un altro capitolo chiave: il giudizio è totalmente negativo, non solo perché si tratta del “governo più di destra della storia repubblicana”, ma anche per l’assenza di una reale volontà di confronto con le parti sociali, dimostrata dal fatto che “ogni tavolo si conclude con la convocazione di un altro tavolo”, in una sorta di gioco dell’Oca dove a decidere è sempre e solo l’esecutivo. Che tuttavia sembra non saper decidere nulla sul tema cruciale di questi tempi, ovvero mettendo in campo quella politica industriale che la Cgil ritiene indispensabile per guidare, e non limitarsi a subire, le transizioni di cui sopra.
Altro capitolo che merita un approfondimento: più o meno tutti in tutti i congressi si è parlato del problema di reperire mano d’opera nei diversi settori. Che siano operai o camionisti, ingegneri o informatici, il succo è che mancano, e mancano a centinaia di migliaia. E non si tratta di un fenomeno dovuto solo ai salari bassi: pesano, da un lato, la questione della qualità della vita, elemento assai considerato dalle giovani generazioni, e dall’altro la mancanza di competenze adeguate. Se a questi elementi si aggiunge la questione demografica, fin qui troppo sottovalutata, è chiaro che l’Italia col lavoro ha ormai un problema molto serio, destinato ad aggravarsi nei prossimi anni.
Infine, c’è un fil rouge che percorre un po’ tutto il dibattito, ed è quello del rapporto della Cgil con la politica e in particolare con la sinistra. Il giudizio in generale è abbastanza spietato, con la constatazione che manca, ormai da anni, una rappresentanza politica del lavoro, e che questo è dovuto alle mancanze dei partiti dell’area progressista. Ma c’è nel dibattito anche una sorta di autocritica, per aver in qualche modo perso, o trascurato, la capacità di trasmettere ai propri iscritti, assieme ai “servizi” sindacali in senso stretto, anche una “visione del mondo”, quella scala di “valori” che sono propri della Cgil: un sindacato che non può che definirsi, ed essere, “di sinistra”, respingendo quindi ogni idea di “neutralità”. È questa capacità di trasmettere agli iscritti i propri valori che sta alla base del rilancio della confederalità, e che va recuperata, a tutti i livelli, altrimenti il rischio è di subire la concorrenza dei sindacati più corporativi, o, peggio ancora, trasformarsi in uno di essi. Probabilmente, sarà proprio questo uno degli argomenti al centro del congresso nazionale, e sarà molto interessante seguirne l’evoluzione e l’esito.
Nunzia Penelope