In tutte le strutture di cui ho fatto parte nella mia lunga vita non mi è mai piaciuto avventurarmi nella contrapposizione tra vertice e base, anche perché la narrazione consueta era quella di un vertice burocratico, mediatore e intrallazzone e una base immacolata, democratica e unita intorno ai medesimi interessi a prescindere da tutte le appartenenze. Ovviamente non era vero. Quando i vertici si schieravano su linee diverse, la base li seguiva, senza fare troppo storie. Oggi, da osservatore delle vicende sindacali, non riesco a capacitarmi della caratura modesta (è un giudizio politico) dei gruppi dirigenti confederali se messa a confronto con l’attività e le iniziative di cui è protagonista, nella quotidianità, il sindacato. E’ vero che non ho una conoscenza approfondita dei dirigenti delle categorie e delle strutture territoriali (che ai miei tempi frequentavano ancora la scuola dell’obbligo), ma mi sono convinto che nel sindacato operi una intelligenza diffusa protagonista di di una realtà migliore di quanto appare osservando il dibattito politico. Proprio in questi giorni è stato organizzata a Milano la presentazione di un Patto per il lavoro, che viene sottoscritto in pompa magna dalle associazioni imprenditoriali e dalle confederazioni territoriali. Milano è una realtà importante, al punto che viene legittimamente da chiedersi perché un’iniziativa di questa portata sia stata scartata, con supponenza, dai sindacati a livello nazionale nonostante che fosse stata proposta dalla Confindustria e accolta dal governo. Posso sbagliarmi, ma ho l’impressione che i vertici confederali pensino solo alle proposte avanzate in materia di pensioni. Eppure il carnet è molto più ricco e positivo del genericismo un po’ rozzo declamato a livello nazionale, con toni adatti per uno striscione da esibire nelle manifestazioni, piuttosto che nell’ occasione di un negoziato con il governo. Che senso ha una narrazione che presenta le classi lavoratrici come se fossero conculcate nei diritti, vilipese ed umiliate, devastate dalla precarietà, tradite dalla sinistra, in balia del padronato? A me pare un modo per farsi del male; perché che cosa ci starebbe a fare un sindacato che, da se stesso, ammette di non saper svolgere (e non è vero) la propria funzione a tutela dei lavoratori?
All’inizio dell’emergenza sanitaria, I protocolli per la sicurezza, a partire dall’aprile 2020, hanno consentito, per esempio, la riapertura e la ripresa dell’attività (dopo gli effetti devastanti del lockdown dei primi 100 giorni) di importanti settori produttivi. E gli effetti si sono visti anche sul versante degli infortuni da Covid-19. Dall’inizio della pandemia fino a gennaio di quest’anno, sono state segnalate all’Inail 211.390 denunce di infortunio sul lavoro da Covid-19. Come è noto sono considerati infortuni gli eventi che si verificano “in occasione di lavoro’”, quindi anche in itinere, sui mezzi pubblici, ad esempio, che sono risultati i siti meno protetti (si pensi ai treni dei pendolari). Se mettiamo in relazione il numero delle denunce con quello di milioni di persone che vanno al lavoro tutte le mattine, emerge con evidenza che le misure di protezione sono servite. La medesima considerazione può essere fatta per le denunce di infortunio con esito mortale: 823 dall’inizio dell’epidemia, un quarto del totale decessi denunciati da gennaio 2020 e una incidenza dello 0,6% rispetto al complesso dei deceduti nazionali da Covid-19 comunicati dall’ISS alla stessa data. Sono poi convinto che, al di là delle (a me) incomprensibili polemiche sul green pass, nei posti di lavoro si siano trovate delle soluzioni ragionevoli. A parte l’elevata copertura di quella nazionale, la presenza attiva del sindacato emerge materia di contrattazione aziendale. Secondo dati della Confindustria, nel 2021, la contrattazione aziendale coinvolgeva oltre un terzo delle imprese associate (il 34,4%) con un’incidenza maggiore nell’industria in senso stretto (dove il contratto aziendale è presente nel 39,6% delle imprese) rispetto ai servizi (30,8%) e nelle imprese più grandi, con oltre 100 dipendenti (69%), rispetto a quelle più piccole, con meno di 15 (24,8%). Le materie regolate dai contratti aziendali – come certificano le ricerche periodiche dei Centri studi (Adapt, FDV, CSC, ecc.) sono principalmente l’orario di lavoro (nel 53,4% dei casi), i protocolli per la sicurezza (44,5%), i premi di risultato collettivi (42,9%), la conciliazione vita-lavoro (37,6%) e la formazione (34,1%). Si tratta quindi di una contrattazione di qualità. Una conferma viene dalla recente pubblicazione del rapporto sulla “Detassazione dei premi di risultato e partecipazione agli utili di impresa’”, a cura del ministero del Lavoro. La materia costituisce il fiore all’occhiello della contrattazione decentrata e viene incentivata attraverso misure fiscali. Ed è prevista una procedura – proprio ai fini della detassazione/decontribuzione – per il deposito telematico dei contratti aziendali e territoriali. Secondo il report a tutto il 15 aprile scorso sono stati depositati 70.964 contratti. Alla stessa data, risultano ancora attivi 7.576; di questi, 6.618 sono riferiti a contratti aziendali e 958 a contratti territoriali. Degli 7.576 contratti attivi, 5.986 si propongono di raggiungere obiettivi di produttività, 4.517 di redditività, 3.875 di qualità, mentre 945 prevedono un piano di partecipazione e 4.434 prevedono misure di welfare aziendale. Prendendo in considerazione la distribuzione geografica delle aziende che hanno depositato i 70.964 contratti si può notare che il 75% è concentrato al Nord, il 17% al Centro il 8% al Sud. Una analisi per settore di attività economica evidenzia come il 60% dei contratti depositati si riferisca ai Servizi, il 39% all’Industria e il 1% all’Agricoltura. Se invece ci si sofferma sulla dimensione aziendale viene in evidenza che il 51% ha un numero di dipendenti inferiore a 50, il 34% maggiore o uguale a 100 e il 15% fra 50 e 99. Per gli 7.576 contratti depositati e tuttora attivi la distribuzione geografica è la seguente 71% Nord, 19% Centro, 10% al Sud. Per settore di attività economica 59% è nei Servizi, 40% Industria, 1% Agricoltura. Per dimensione aziendale risulta il 47% con numero di dipendenti inferiore a 50, 37% maggiore o uguale a 100, 16% i compreso fra 50 e 99. Analizzando i depositi che si riferiscono a contratti tuttora attivi abbiamo che il numero di lavoratori beneficiari indicato è pari a 2.458.613, di cui 1.756.223 riferiti a contratti aziendali e 702.390 a contratti territoriali. Il valore annuo medio del premio risulta pari a 1.520,45 euro, di cui 1.663,35 euro riferiti a contratti aziendali e 739,76 euro a contratti territoriali.
All’atto del deposito telematico dei contratti aziendali è possibile indicare la decontribuzione per le misure di conciliazione dei tempi di vita e lavoro dei dipendenti. Alla data del 15 Aprile 2022 sono stati depositati 5.123 contratti di cui 3.372 corrispondenti a depositi validi anche ai fini della detassazione e 1.751 corrispondenti a depositi validi solo ai fini della decontribuzione. Ben 884 depositi si riferiscono a contratti tuttora “attivi”, di cui 452 corrispondenti a depositi validi anche ai fini della detassazione e 432 corrispondenti a depositi validi solo ai fini della decontribuzione.
E’ altresì possibile indicare all’atto del deposito telematico dei contratti aziendali, l’incentivo fiscale con procedura automatica introdotto, nella forma di credito d’imposta utilizzabile esclusivamente in compensazione, per talune spese di formazione del personale dipendente nel settore delle tecnologie previste dal “Piano Nazionale Industria 4.0”. Alla data del 15 Aprile 2022 sono stati depositati 4.333 contratti. Prendendo in considerazione la distribuzione geografica delle aziende che hanno depositato i 4.333 contratti, risulta – more solito – che la percentuale maggiore, pari al 39% è concentrata al Nord, il 27% al Centro, il 34% al Sud dove emergono i dati della Campania che presenta il numero maggiore di contratti depositati su tutto il territorio nazionale. Relativamente al settore di attività economica, il maggior numero dei contratti depositati riguarda aziende operanti nel settore Servizi col 61%, a seguire Industria col 38% e Agricoltura con l’1% contratti depositati.
Si arriva di seguito al tema delicato della contrattazione di prossimità in base all’art. 8 D.L.138/2011 (convertito in L.148/2011 e successive modificazioni). E’ questa una normativa fortemente voluta dal ministro Maurizio Sacconi, titolare del Lavoro nell’ultimo governo Berlusconi e altrettanto fortemente contrastato dalle organizzazioni sindacali, che, a suo tempo, riuscirono a coinvolgere la Confindustria in un’intesa che prendeva le distanze dall’utilizzo della procedura prevista. Il che determinò, ai tempi di Sergio Marchionne, l’uscita della Fiat/Flc, perché l’articolo 8 conteneva una disposizione che metteva al sicuro il travagliato accordo separato nello stabilimento di Pomigliano d’Acro (approvato dai lavoratori tramite un referendum), poi esteso a tutto il gruppo. Si tratta di Contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda, che possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali. Le intese possono riguardare la regolazione di specifiche materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione, con riferimento a: a) impianti audiovisivi e introduzione di nuove tecnologie; b) mansioni del lavoratore, classificazione e inquadramento del personale; c) contratti a termine, contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, regime della solidarietà negli appalti e casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; d)disciplina dell’orario di lavoro; e) modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento. Lo strumento offre alle imprese la possibilità di derogare entro certi limiti alle disposizioni di legge e di contratto collettivo per adeguarle alle condizioni e alle esigenze di organizzazione del lavoro di ciascuna azienda, fermo restando il rispetto della Costituzione, della normativa comunitaria e delle Convenzioni internazionali.
Come si può notare la normativa è in parte superata da misure sopravvenute. E’ noto, poi, che essa ha subito un dichiarato boicottaggio da parte delle organizzazioni sindacali che, tuttavia, non ha impedito che venisse applicata (magari senza troppo pubblicità).
Alla data del 15 Aprile 2022 sono stati depositati 1.367 contratti di questo tipo. Prendendo in considerazione la distribuzione geografica delle aziende che hanno depositato i suddetti contratti, questa risulta essere pari al 40% concentrata al Nord, il 16% al Centro, il 44% al Sud. Al Nord solo la Lombardia supera il centinaio di contratti depositati. Al Sud rileva il dato della Campania 178 e della Puglia 156. Al Centro rileva il dato del Lazio 118. Riguardo al settore di attività economica, il maggior numero dei contratti depositati riguarda aziende operanti nel settore Servizi 63%, a seguire Industria 36% e Agricoltura con 1% contratti depositati.
Giuliano Cazzola