Mary Shelley ci aveva avvertito nella morale del celeberrimo “Frankenstein”: attenzione ai pericoli del progresso, prendete le vostre precauzioni. Oggi come nel 1818 l’intelligenza artificiale fa paura e a metterci in guardia sono proprio gli scienziati che l’hanno messa a punto. In una lettera aperta pubblicata all’inizio del mese scorso, esimi scienziati ed esperti di tecnologia hanno sollevato preoccupazioni riguardo allo sviluppo incontrollato dell’intelligenza artificiale, chiedendo un pausa di sei mesi per le sperimentazioni tecnologiche al fine di avviare una riflessione e una pianificazione sui potenziali rischi e impatti che tali tecnologie potrebbero avere sulla società e sull’uomo.
Ieri, invece, Geoffrey Hinton, storico ingegnere di Google e considerato il padrino dell’intelligenza artificiale, ha presentato le sue dimissioni dalla società di Palo Alto alzando l’allerta sui risultati degli sviluppi futuri dell’IA. L’annuncio del suo addio è stato rilasciato al New York Times: “È difficile vedere come non puoi impedire ai cattivi attori di usarlo per cose cattive”. E precisa sul suo account Twitter: “Nel NYT di oggi, Cade Metz implica che ho lasciato Google per poter criticare Google. In realtà, me ne sono andato per poter parlare dei pericoli dell’intelligenza artificiale senza considerare l’impatto che questo ha su Google. Google ha agito in modo molto responsabile”.
Il timore primario dell’applicazione dell’intelligenza artificiale, per ora, resta la sostituzione della macchina all’uomo nel mondo del lavoro: secondo le prime stime, entro i prossimi quattro anni ci sarà una riduzione del 18% della forza lavoro a livello globale. Ma sul brevissimo termine le notizie non tardano a smentire la stima: lunedì scorso, l’ad del colosso informatico Ibm, Arvind Krishna, ha dichiarato a Bloomberg che circa 7.800 degli impiegati dell’azienda, sui 400mila nel mondo, potrebbero essere sostituiti dall’intelligenza artificiale. Non veri e propri licenziamenti, soprattutto tra le funzioni di back-office e quelle non rivolte ai clienti, ma mancati rinnovi delle posizioni, precisa Krishna.
Ma la paura corre sul filo anche ad Hollywood, dove gli sceneggiatori iscritti al sindacato WGA incroceranno le braccia non solo per le rivendicazioni su compensi e ruoli ma per la paura di essere rimpiazzati dall’intelligenza artificiale nella creazione di nuove storie per un mercato dell’intrattenimento (soprattutto on demand) sempre più bulimico di contenuti. WGA, quindi, chiede un inasprimento della regolamentazione sull’utilizzo dei software che possano sostituire il genio umano in prima persona. Per parte propria, l’AMPTP, società che rappresenta gli studios e le piattaforme, sospende il giudizio e si limita a mettere al vaglio i motivi della protesta avanzata dagli sceneggiatori.
Un atteggiamento intollerabile, afferma il sindacato WGA, che è pronto a portare avanti la mobilitazione che rischia di far inceppare, sul lungo termine, la più grande industria dell’intrattenimento che fa sognare tutto il mondo come già accadde nel 2007.
Elettra Raffaela Melucci