Cleobi e Bitone erano figli di Cidippe, sacerdotessa di Hera ad Argo. Secondo una leggenda narrata da Erodoto, in occasione di una festa della dea, la madre doveva essere trasportata al tempio e mancando i buoi, tirarono essi stessi il carro per 45 stadi (8 km). Alla preghiera di Cidippe perché ai due fratelli fosse data la migliore ricompensa per il loro atto di amore filiale, essi ricevettero come premio il sonno perpetuo.
Alphonse Rabbe, nel suo “Album di un pessimista”, confessava di aver pianto leggendo questa “storia commovente e misteriosa”. Il polemista francese, amico di Dumas e Hugo, ha tracciato un’apologia del suicidio, inteso non come fuga dalla malattia o dalla disperazione ma come atto di forza, di onore e di coraggio compiuto nel pieno delle proprie facoltà. Catone l’Uticense, in primis, che in una mano tiene un libro di Platone, il Fedone, e nell’altra stringe il pugnale con il quale si aprirà il ventre. Il contrario di un più insidioso mito romantico, Faust, disposto ad un patto con Mefistofele pur di riacquistare la propria giovinezza in nome della conoscenza e della sensualità.
Ineluttabile, temuta, odiata, attesa, desiderata. Donata, come fu per Cleobi e Bitone. Nostra sorella, la chiamava San Francesco. Sempre presente. Talvolta vedo i fari di una macchina accendersi e poi spegnersi, chi è?, chiede Carlo Castaneda. La morte, risponde lo stregone don Juan, ci segue e ogni tanto ci ricorda la sua presenza. Eppure l’uomo tende a dimenticare, o meglio a non accettare fino in fondo, la propria transitorietà. Se davvero ammettesse di essere mortale, impazzirebbe, sosteneva Freud.
Tutte le religioni danno conforto prevedendo un aldilà. Inferni e paradisi di ogni risma, in base ai vizi e alle virtù, ai peccati e alla rettitudine. Ma non basta credere nell’immortalità dell’anima o alla possibilità che trasmigri in un altro corpo, anche esso prima piccolo e indifeso, poi gagliardo e vigoroso, infine raggrinzito e cadente. No, la vita eterna rappresenta un miraggio costante, qui ed ora.
Il progresso e la medicina hanno allungato l’età media, rendendo credibile il traguardo dei 120 anni. Luc Montagnier, premio Nobel per le ricerche sull’Aids, in un libricino-intervista del 1999, asseriva che “l’immortalità è un’ipotesi da prendere in considerazione”. La sua tesi era che la scoperta di un super codice genetico avrebbe permesso di creare una cura in grado di eliminare i retrovirus presenti nel nostro organismo, i veri responsabili delle malattie degenerative, dal cancro all’Alzheimer, e in buona sostanza dell’invecchiamento. Un vaccino contro la morte.
Ma è arrivato il nemico esterno, invisibile e spietato. E ha rimesso la Nera Signora, quasi rimossa dal nostro immaginario, relegata ad un ruolo secondario, al centro della scena. Le file di bare e i bollettini pomeridiani con la conta delle vittime sono state il coro di una tragedia greca, un canto funebre al cospetto della Mòira. Gli anziani, le vittime preferite dal Covid-19, hanno rivelato tutta la loro fragilità, indifesi, chiusi nei ghetti infetti delle case di cura. E i medici, all’inizio della pandemia, impotenti per la penuria delle rianimazioni, hanno dovuto sacrificarli scegliendo di salvare prima i giovani. Ora si teme una seconda ondata ma si spera nel vaccino. Che forse annullerà il coronavirus ma non ci renderà immortali. Perché la natura ha le sue leggi immutabili, pronta a punire la nostra insolente arroganza come Zeus fulminò Capaneo davanti alle mura di Tebe. “Vi è al mondo qualcuno che sia potuto sfuggire alla morte?”, domandava il monaco giapponese Genshin.
Possiamo ingannare la Falciatrice ma vince sempre lei, anche se rovesciamo la scacchiera, come il cavaliere raffigurato da Bergman nel Settimo sigillo. Thomas Bernhard ha scritto un bizzarro e ucronico racconto, “Goethe muore”, nel quale immagina che il grande scrittore tedesco, durante gli ultimi giorni della propria esistenza, fosse ossessionato da Ludwig Wittgenstein, in realtà nato più di mezzo secolo dopo, tanto da scandire, esalando l’ultimo respiro, la dicotomia tra “il dubitabile e il non dubitabile”. Nella seconda categoria è “indubitabile” che rientri ‘A livella: rende tutti uguali, poetava Totò.
Eppur si muore, per dirla riecheggiando Galileo. Prendiamola con filosofia.
Marco Cianca