E no, non andrà tutto bene. Invita a “non perdere la speranza”, il Governatore della Banca d’Italia, ma è lo stesso Ignazio Visco, nelle Considerazioni finali di questo disgraziato 2020, ad avvertire che la crisi che stiamo vivendo è “senza precedenti”. E che una volta passata – col suo carico di morti, dolore, lacrime e spavento – ci lascerà con più debito pubblico e con accresciute diseguaglianze, non solo economiche. Non è filosofia, sono numeri. Il nostro Pil, nelle previsioni della nostra banca centrale, può perdere da 9 a 13 punti, e questi tredici punti in meno sono l’ipotesi “più negativa” ma non, sottolinea Visco, la più “estrema”: in altre parole, potrebbe andare anche peggio.
Ma nemmeno questa è la cosa peggiore. La peggiore è l’incertezza, dice ancora il governatore: “possiamo solo riconoscere di non sapere”. Non sappiamo quando e se la pandemia si arresterà, e nello stesso modo non sappiamo se e come l’economia reagirà al blocco, se e quando riprenderà slancio. Tutto è incerto, e i verbi, nel testo della relazione di Visco sono tutti al condizionale: “dovrebbe”, “calerebbe”, “sarebbe”. Tutto dipenderà da quando si potrà tornare all’attività ordinaria, afferma il governatore, che butta lì: “una quota rilevante della domanda dipenderà dal turismo, che incide per il 5% del Pil e per il 6% dell’occupazione”. E non lo dice, ma non ce n’è bisogno perchè lo sappiamo tutti, che tra frontiere chiuse, voli contingentati, virus ancora serpeggiante nel mondo, proprio il turismo – uno dei pilastri della nostra economia – sarà l’ultimo settore a riprendere quota. Intanto, segnamoci, insieme al Governatore, quel meno 80% dei voli aerei, quel meno 50% del traffico autostradale, quel meno 15% del consumi di gas, eccetera. Più in generale, avverte Visco, c’è il rischio che la caduta dell’attività economica e la bassa inflazione si traducano in un’inflazione stabilmente troppo bassa, se non in una deflazione che, a sua volta, avvierebbe un “pericoloso avvitamento tra il declino dei prezzi e quello della domanda aggregata”.
Il governatore parla in un’atmosfera straniata, rarefatta; nel sontuoso salone di Palazzo Koch dove si svolge la tradizionale, affollata, mondanissima assemblea annuale, oggi siedono solo quaranta persone – distanziatissime, quasi sperdute – e tutte con mascherina d’ordinanza. Spicca tra loro Mario Draghi, alla sua prima uscita pubblica, seduto accanto (per modo di dire: a due metri) a Fabio Panetta, altro illustre ex di Via Nazionale, oggi in Bce. Il Governatore ha l’aria stanca, provata, parla a bassa voce, e anche l’audio dello streaming non è eccellente, poco più di un sussurro. Si commuove, visibilmente, quando ricorda due economisti – due grandi amici – scomparsi recentemente, Alberto Alesina e Fabrizio Saccomanni. “Ci vorrà tempo – ammette il governatore – per tornare a una situazione di normalità”. Che, in ogni caso, “sarà diversa da quella a cui eravamo abituati fino a pochi mesi fa”.
Poi, ovviamente, ci sono le cose positive. Il bicchiere mezzo pieno, diciamo. Il debito pubblico, pur enorme, non desta preoccupazioni per la sua sostenibilità, come dimostra lo spread a 185. Le famiglie sono poco indebitate e il risparmio resta elevato. Le nostre banche sono molto più solide di quanto non fossero nel 2008/2009, ormai ripulite dall’eccesso di Npl. Ma una recessione “non potrà non avere effetti” anche sulle banche stesse, quindi occorre prevenire futuri problemi. E a proposito di banche, il governatore ricorda che il monitoraggio fatto sull’erogazione di liquidità alle imprese dice che a metà maggio avevano ricevuto complessivamente quasi 2,4 milioni di richieste, per un totale di poco meno di 250 miliardi. Tanta roba. E quanto alle lentezze nell’erogazione alle imprese, che Visco definisce “frizioni”, dipendono in parte dalle leggi vigenti, che impongono alle banche molte cautele, pena il rischio di incappare in reati penali come il riciclaggio; in parte però anche dalla farraginosità dei provvedimenti emanati dal governo. Visco lo dice più cortesemente, ma il senso è questo, tanto che aggiunge di sperare in emendamenti correttivi che rendano il tutto più fluido.
Nel complesso, però, l’azione del governo, è stata “appropriata”, o quanto meno nel solco dei governi di altri paesi. La Bce ha fatto la sua parte, varando misure “senza precedenti”. L’Europa, soprattutto, ha fornito prova della sua ragione di esistere; e forse, questa, è la sola eredità positiva della pandemia: aver restituito all’Ue un ruolo e una forza che apparivano da tempo appannati. “La dolorosa esperienza della pandemia rende oggi ancora più forti le ragioni, non solo economiche, dello stare insieme”, scandisce Visco. E a proposito di “stare insieme”, il governatore avverte: “Oggi da più parti si dice: “insieme ce la faremo”. Lo diciamo anche noi: ma purché non sia detto solo con ottimismo retorico, bensì per assumere collettivamente un impegno concreto. Ce la faremo con scelte mature, consapevoli, guardando lontano. Ce la faremo partendo dai punti di forza di cui qualche volta ci scordiamo; affrontando finalmente le debolezze che qualche volta non vogliamo vedere”.
Stare insieme significa, insomma, fare insieme cose concrete: “serve un nuovo rapporto tra Governo, imprese dell’economia reale e della finanza, istituzioni, società civile; possiamo non chiamarlo, come pure è stato suggerito, bisogno di un nuovo “contratto sociale”, ma anche in questa prospettiva serve procedere a un confronto ordinato e dar vita a un dialogo costruttivo”. In finale, Visco invita alla speranza: l’Italia ce la può fare, ma occorre “una rottura rispetto all’esperienza storica più recente”, occorre “che siano sciolti quei nodi strutturali che per troppo tempo non siamo stati capaci di allentare”. Nodi che si chiamano fisco da ripensare, sommerso da combattere, capitale umano da potenziare, tecnologia da sviluppare, eccetera. Se lo faremo, se ne avremo la capacità, la forza, le risorse, allora si, allora, magari, potrà davvero andare tutto bene.
(Intanto, alla fine del discorso del Governatore, gli addetti alla sicurezza di Bankitalia scandiscono negli altoparlanti le regole per abbandonare la sala: due, tre persone alla volta, gli altri sono pregati di restare seduti al loro posto ed aspettare il loro turno di essere chiamati. Ci vorrà tempo per tutto, anche per tornare “normali”).
Nunzia Penelope