La questione è tanto semplice quanto micidiale: è possibile considerare l’attuale governo come lo Stato, il nostro Stato? Uno Stato che non rende omaggio ai morti del naufragio? Che non si impietosisce neanche un po’ di fronte a decine e decine di persone (persone, ossia essere umani di tutte le età), ma tira dritto per la sua strada. Neanche un piccolo ripensamento, un guardarsi allo specchio di chiedersi se qualcuno ha sbagliato. Neanche un lieve cambiamento della linea dura e intransigente contro i migranti. Neanche il dubbio che chi cerca di arrivare sulle nostre coste non lo fa perché si diverte, ma perché è disperato. Ed è sbagliata la sottile e ipocrita differenza tra profughi di guerra e migranti economici: sono la stessa cosa, gente che cerca di vivere mentre dove “vive”, muore.
Adesso il problema sarebbero gli scafisti, gente spietata che per i soldi imbarca chiunque su battelli improbabili, che stanno a galla per miracolo, riempiendoli fino all’orlo di gente in carne e ossa, fregandosene della loro vita, non considerando se il mare è troppo mosso per navigare e via dicendo.
È evidente che gli scafisti non sono galantuomini ma mercanti di esseri umani, anche spietati, senza scrupoli, il loro motto è “mors tua, vita mea”, dove la morte quasi sempre viene riservata ai nuovi schiavi che, chiusi sottocoperta, fanno la fine dei topi.
Ma il problema sono questi “topi” e non i loro cinici trasportatori: cosa pensano di fare il nostro e gli altri governi, civili ed europei, per affrontare la disperazione umana di milioni di persone? Da quello che abbiamo capito, assolutamente nulla. Il loro problema è solo quello di non farli arrivare nei nostri paesi, per non disturbare la nostra vita “normale” e tranquilla, civile e agiata. Come se i nostri governanti non sapessero che chi viene a cercare lavoro da noi, e magari lo trova, e magari pure in nero, clandestino o meno che sia, aiuta la nostra vita a essere più tranquilla e agiata. Altrimenti chi e quanti tra gli italiani andrebbero oggi a lavorare dodici ore al giorno nei campi di pomodori e di altre verdure che mettiamo sulle nostre tavole, dormendo in baracche putride e senza acqua corrente? Quanti di noi sarebbero disposti a passare le giornate accanto a un altoforno siderurgico, respirando gas nocivi e spesso letali? Quanti farebbero il lavoro di badanti per i nostri vecchi e i nostri malati? Pochissimi, tanto pochi che non basterebbero per garantirci la vita che facciamo oggi.
E allora perché questa furia ideologica contro i disperati che dal sud o dall’est tentano un’avventura pericolosissima solo perché in fondo sperano di trovare la vita? La risposta è l’ideologia, l’ideologia della destra italiana ed europea (ma anche la sinistra non scherza in proposito), e contro un’ideologia ottusa e plumbea non c’è molto da fare se non combatterla con tutti i mezzi della democrazia.
Perché se il problema fossero sul serio gli scafisti e non i migranti, basterebbe organizzare spedizioni navali per andare a prenderli con mezzi sicuri e ufficiali, appunto gestiti dallo Stato. Invece si parla di multe agli scafisti, di blocchi navali tanto altisonanti quanto impossibili (Meloni per anni non ha parlato d’altro), si parla e si mettono in pratica campi di prigionia, praticamente dei lager, dove tenere questi disperati (capolavoro di dieci anni fa realizzato in Libia da un ministro di “sinistra” come Marco Minniti), oppure di pagare i governi per non farli partire (l’abbiamo fatto con il turco Erdogan). Insomma si parla di tutto senza trovare una soluzione che sia credibile e praticabile.
Intanto i migranti continueranno a farsi portare dagli scafisti, i quali aumenteranno il prezzo del trasporto per compensare il rischio dell’arresto. Mentre il rischio, quasi la certezza di morire affogati, continuerà a far parte della vita di questi essere umani. Insomma, la filosofia (chiamiamola così) del nostro governo si può riassumere cinicamente in “meglio morti che vivi sulla nostra Patria”. Che appunto è solo nostra, cioè italiana e di razza bianca e non ammette contaminazioni.
Riccardo Barenghi