Con una recente sentenza la sezione lavoro della cassazione ha affrontato un tema di grande rilevanza: la tutela dei lavoratori disabili contro i licenziamenti discriminatori. La vicenda trae origine dal licenziamento di Lo.Va., dirigente di una società, giustificato dall’azienda come conseguenza di una riorganizzazione interna e della soppressione del ruolo da lei ricoperto. Tuttavia, la lavoratrice ha contestato la legittimità dell’atto, ritenendolo discriminatorio e collegato al suo stato di salute, che l’aveva portata a un lungo periodo di assenza dal lavoro e al riconoscimento dello status di portatrice di handicap grave ai sensi della legge n. 104/1992. Dopo il rientro in servizio, avvenuto circa un mese dopo la fine del periodo di malattia, Lo.Va. è stata licenziata con la motivazione di una contrazione dell’attività e della clientela. La lavoratrice, l’unica dirigente disabile dell’azienda, ha evidenziato che il licenziamento era pretestuoso, finalizzato a estrometterla dall’organizzazione proprio a causa della sua condizione. La Corte d’Appello di Roma ha ritenuto il licenziamento legittimo, basandosi sulla giustificazione economico-organizzativa fornita dall’azienda pur riconoscendo alla lavoratrice un risarcimento per il danno biologico subito a causa di condotte vessatorie (pressioni e sollecitazioni durante il periodo di malattia), aveva escluso la natura discriminatoria del licenziamento, ritenendo che non vi fossero elementi sufficienti per dimostrare che l’atto fosse collegato alla disabilità. La lavoratrice ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando che la Corte d’Appello avesse omesso di applicare correttamente i principi giuridici in materia di discriminazione, trascurando elementi di fatto rilevanti e invertendo impropriamente l’onere della prova. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di Lo.Va., chiarendo alcuni punti fondamentali nella disciplina del licenziamento discriminatorio. Ha sottolineato che la discriminazione per disabilità può essere diretta, quando un lavoratore è trattato meno favorevolmente a causa del proprio handicap, o indiretta, quando una misura apparentemente neutra mette il lavoratore disabile in una posizione di particolare svantaggio. Ha poi evidenziato che un licenziamento può essere discriminatorio anche in presenza di una giustificazione economico-organizzativa, se quest’ultima si rivela pretestuosa o non genuina. Inoltre, secondo l’art. 28 del D.lgs. n. 150/2011, il lavoratore deve fornire elementi di fatto che rendano plausibile l’esistenza di una discriminazione, mentre spetta al datore di lavoro dimostrare l’assenza di qualsiasi intento discriminatorio. La Corte ha rilevato che la Corte d’Appello aveva erroneamente posto l’intero onere della prova sulla lavoratrice, contravvenendo alle norme vigenti. Ai sensi dell’art. 2 del D.lgs. n. 216/2003, sono considerate discriminazioni anche le molestie sul luogo di lavoro, ossia comportamenti indesiderati che violano la dignità della persona e creano un ambiente lavorativo ostile. Le e-mail pressanti inviate a Lo.Va. durante il periodo di malattia sono state riconosciute come atti lesivi, che avrebbero dovuto essere considerati nel contesto del licenziamento. La Corte ha sottolineato che il licenziamento di Lo.Va., unica dirigente disabile, non fosse accompagnato da una spiegazione plausibile sul motivo per cui fosse stata scelta proprio lei, tra altri colleghi con pari qualifica. Questo aspetto doveva essere adeguatamente valutato per stabilire la natura discriminatoria dell’atto. La Corte di Cassazione ha cassato la sentenza d’appello, rinviando il caso a una diversa composizione della Corte d’Appello di Roma. La nuova valutazione dovrà analizzare il licenziamento considerando il possibile carattere discriminatorio, applicare correttamente l’onere della prova richiedendo al datore di lavoro di dimostrare l’assenza di intenti discriminatori, valutare il legame tra il licenziamento e le condotte vessatorie subite dalla lavoratrice durante la malattia e considerare il risarcimento dovuto per eventuali danni derivanti dalla discriminazione. Corte di Cassazione (Sezione Lavoro, sentenza 9 gennaio 2025, n. 460).
Biagio Cartillone
avvocato