Il ricorrente Ap.Fr., dipendente della società GILBARCO ITALIA Srl dal 1999, è stato licenziato per giusta causa nel 2021 per aver rivolto al collega Gr.St., in presenza di un terzo, espressioni offensive quali “finto tonto” e “incompetente”; ha quindi impugnato il licenziamento dinanzi al Tribunale di Firenze, chiedendone la dichiarazione di illegittimità per insussistenza del fatto contestato, per violazioni procedurali ai sensi dell’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, e, in subordine, per ottenere l’indennità risarcitoria ex art. 18, co. 5 della L. 300/1970.
Il Tribunale ha escluso la giusta causa ma ha ritenuto sussistente un giustificato motivo soggettivo, condannando l’azienda al solo pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso; in sede di gravame, la Corte d’Appello ha escluso la proporzionalità del licenziamento, ritenendolo eccessivo rispetto alla condotta accertata – un episodio isolato di intemperanza verbale, privo di conseguenze dannose per l’azienda – e ha riconosciuto che la sanzione espulsiva avrebbe dovuto essere sostituita da una misura conservativa, applicando pertanto la tutela indennitaria ex art. 18, co. 5, e liquidando un risarcimento pari a 59.960,88 euro.
Avverso tale decisione, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che, una volta esclusa la giusta causa, gli spettasse la reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi dell’art. 18, co. 4; la Suprema Corte ha tuttavia rigettato il ricorso, ribadendo che la reintegrazione può essere disposta solo qualora il fatto contestato risulti insussistente nella sua materialità, irrilevante dal punto di vista disciplinare oppure espressamente punibile con sanzione conservativa secondo il contratto collettivo o il codice disciplinare applicabile: nessuna di tali condizioni risultava presente nel caso concreto, né il ricorrente aveva indicato specifiche clausole contrattuali che riconducessero la sua condotta a una fattispecie sanzionabile in via conservativa.
Proprio questa evidente deficienza difensiva – la mancata allegazione da parte del difensore del lavoratore della norma contrattuale che prevedeva per quella condotta (offese verbali a un collega) la sola applicazione di sanzioni conservative come il rimprovero, la multa o la sospensione – ha determinato la perdita definitiva del posto di lavoro, poiché la Cassazione, in assenza di una puntuale deduzione difensiva, non ha potuto accedere alla tutela reintegratoria.
Nessun contratto collettivo prevede, infatti, il licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo nei confronti di un lavoratore che si limiti a ingiuriare un collega, e in tal caso l’unico strumento utile a far valere tale sproporzione era la precisa indicazione della clausola che tipizzava la condotta come punibile con sanzione conservativa. Le regole del processo del lavoro, e in particolare quelle introdotte dalla riforma Fornero, impongono oneri assertivi e probatori stringenti, che devono essere rispettati rigorosamente: dura lex, sed lex.
Biagio Cartillone