Premessa: la cosiddetta “via giudiziaria al socialismo” non solo è sbagliata ma neanche praticabile, lo abbiamo sperimentato all’epoca di Mani pulite quando fu fatta fuori dai magistrati la vecchia classe dirigente ma poi le elezioni del ’94 le vinse Berlusconi. Dunque, c’è solo la politica e ovviamente le elezioni per cambiare regime. E infatti il caso Almastri, cioè il generale libico, nonché torturatore e forse anche assassino di migranti, liberato e rimpatriato su un aereo di Stato dal governo di Giorgia Meloni, va affrontato ed eventualmente risolto politicamente.
Il caso è grave e pure serio, anche perché ancora nessuno dei ministri in carica e tanto meno la premier ha dato una spiegazione credibile a questa storia, lasciando il campo libero alle interpretazioni più svariate. La più verosimile è che i nostri rapporti e i nostri affari con la Libia non consentivano la detenzione in Italia di Almastri, rischiando una rottura pesante che avrebbe influito pesantemente su tutte le questioni aperte col regime di Tripoli, dai migranti trattenuti in quei campi di detenzione, praticamente dei lager, impedendo alla maggioranza di loro di “invadere” il nostro Paese, fino al petrolio, al gas e via elencando. Meglio insomma un criminale libero a casa sua che migliaia di disgraziati che arrivano sulle nostre coste, meglio tenersi una goccia di petrolio in più che rischiare di doversi approvvigionare altrove, magari pagando un prezzo più alto. Insomma, meglio dimenticarsi della giustizia e sacrificarla in nome della ragion di Stato. Non a caso la premier ha detto che “abbiamo difeso l’Italia”.
Ecco perché Meloni, i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano sono stati iscritti nel registro degli indagati dalla Procura di Roma. È evidente che i magistrati non potevano fare altro, visto che i reati a loro contestati sono piuttosto gravi, dal favoreggiamento al peculato. Oltretutto, non va dimenticato che il nostro titolare della giustizia ha deliberatamente ignorato il mandato di cattura emesso dalla Corte penale internazionale e ha fatto scarcerare in fretta e furia il generale libico per poi imbarcarlo su un volo dei servizi segreti italiani diretto a Tripoli, dove è stato accolto come un eroe.
Ora, diciamolo chiaramente, è molto probabile che i governanti sotto inchiesta non finiranno in tribunale, troppi sono i passaggi da valicare, a cominciare da quello del Tribunale dei ministri, prima che vengano rinviati a giudizio e poi magari processati. Ma il problema, tanto per insistere, è appunto politico: può una classe dirigente (chiamiamola così…) fregarsene della legge, anche internazionale, in nome della propria sopravvivenza? E ancora: può sacrificare la vita di migliaia di persone pur di non vederle sulle nostre e coste e dover così affrontare un problema che non sanno risolvere (lasciamo stare il patetico centro albanese, che fa ridere se non piangere), problema che rischia di provocare un verticale crollo dei consensi elettorale per chi ha propagandato lo stop all’immigrazione, con annesso l’impraticabile blocco navale? Meglio nascondere i migranti sotto il tappeto libico, se ne occupino loro e chissenefrega di come lo fanno.
Ma non è solo il caso Almastri che infastidisce il governo, mettiamoci pure quello della ministra Daniela Santanché, che è stata rinviata a giudizio per truffe varie e ancora resta al suo posto, e soprattutto mettiamoci la politica. È possibile che la nostra premier sia l’unica in Europa ad essere stata invitata al giuramento di Donald Trump e ad avere ottenuto dal Presidente americano frasi come “Giorgia è brava”, mentre gli altri leader dell’Unione europea restavano a guardare con scetticismo ben sapendo che il nuovo corso Usa creerà gravi problemi all’Europa, a cominciare dai dazi che il Tycoon intende alzare e pure di parecchio? È possibile, anzi probabile, che l’Italia diventi la sponda privilegiata su cui si appoggeranno gli Stati uniti trumpiani per muovere la loro guerra commerciale al Vecchio continente. Neanche ai tempi di Alcide De Gasperi siamo stati così succubi dell’alleato americano, per non parlare di quelli di Giulio Andreotti e di Bettino Craxi, che con Washington hanno sempre avuto un rapporto sì di lealtà ma anche di autonomia politica. Basti pensare alla realpolitik di questi due leader della prima Repubblica nei confronti del Medio oriente che certo non faceva piacere agli americani. Chi si ricorda di Sigonella?
E pensare che quando era più giovane Giorgia Meloni non era certo “amerikana”: se è vero, allora, che solo i cretini non cambiano mai opinione, è altrettanto vero che un minimo di coerenza storico-politica non guasterebbe. Ma forse è chiedere troppo a chi si è talmente innamorato del potere da perdere la propria memoria.
Riccardo Barenghi