Nella sua prima relazione annuale il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, ha ricordato che “per le sole transizioni climatica e digitale e per aumentare la spesa militare al 2 per cento del PIL, la Commissione europea stima un fabbisogno di investimenti pubblici e privati di oltre 800 miliardi ogni anno fino al 2030”. Secondo molti esperti è una valutazione addirittura prudenziale.
Dove e come trovare questi denari? L’attenzione è quasi esclusivamente focalizzata su due punti molto importanti. Il primo riguarda la possibilità di emettere debito comune europeo, come è già avvenuto per il NextGenerationEu. L’affidabilità dell’Unione consentirebbe di raccogliere fondi al costo più basso di mercato, anche inferiore al bund tedesco. Il secondo punto riguarda invece la probabile, fortissima resistenza di diversi paesi a procedere in questa direzione, a cominciare dai cosiddetti paesi frugali, Olanda e Germania in testa.
In sostanza una soluzione almeno parziale ci sarebbe, ma non si vuole adottare e la finestra di opportunità che si è aperta in occasione della pandemia da Covid si sta rapidamente chiudendo, come dimostrano anche alcuni tratti del pur rinnovato patto di stabilità europeo.
C’è però un dato che sfugge quasi completamente all’attenzione, un’altra possibile via che potrebbe contribuire alla soluzione, della quale però non si parla.
In Europa oggi esistono diversi paradisi fiscali che consentono alle imprese più redditizie ed ai singoli contribuenti più ricchi di non versare imposte in modo legale o di versarne molte meno del dovuto. Tanto per dire, l’Olanda, è tra i più intransigenti paesi cosiddetti frugali, ma è anche uno dei più interessanti e importanti paradisi fiscali che funzionano alla grande nel bel mezzo dell’Ue, nonostante abbia attenuato dal 2022 alcune delle più clamorose forme di aggiramento delle imposte. Il Lussemburgo lo è rimasto, anche se con minori scappatoie di quelle garantire negli anni della presidenza di Jean-Claude Juncker. L’Irlanda continua a rappresentare un luogo di sicuro interesse per una stabile organizzazione delle imprese, anche se si è detta favorevole all’introduzione della Global Minimum Tax del 15 per cento sulle multinazionali, secondo una recente direttiva comunitaria. La stessa Italia è un paradiso per i rentiers che decidono di trasferire qui la propria residenza nel momento finale della propria vita, per sfruttare le più basse imposte di successione rispetto ai propri paesi, per esempio la Francia.
Da qui una domanda: se dobbiamo trovare almeno 800 miliardi l’anno da investire in Europa e se la strada del debito comune è strettissima, come si può pensare di trovare questi denari se si consente di sfuggire ai propri doveri proprio a coloro che potrebbero e dovrebbero contribuire di più?
Ma si tratta di tasse! Eh sì, si tratta di tasse, e si capisce anche quale fastidio dia il solo parlarne. Le imposte non vengono considerate uno strumento di sviluppo, ma solo un impiccio per gli affari.
Da qui, da questa impostazione di fondo che ha tratti di ideologia, il fatto che si parli di debito comune, ma non si parli di come far pagare alle aziende più redditizie del pianeta ed alle persone più ricche della terra le imposte che servirebbero per affrontare le sfide del futuro.
Per avere un’idea di questo strabismo basti qui un esempio, che prende le mosse dai trattati europei e da ciò che considerano sconveniente e da censurare.
Nel Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, gli articoli 107 e 108 disciplinano gli aiuti di Stato e li considerano “incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra gli Stati membri”. Testuale. Sono previste alcune eccezioni, ma nella realtà è difficile far passare un finanziamento, una agevolazione a favore di una impresa nazionale o di un intero settore industriale. La ragione? Viene considerata una forma di concorrenza sleale, tale da mettere a rischio la stabilità del mercato unico.
Ma se un’impresa riceve un fantastico sostegno sotto forma di sconto fiscale, perfino di azzeramento delle imposte? Allora nulla quaestio. Certo, in questo caso non si tratta di un sostegno singolo o di settore, sono norme che riguardano l’intera economia di un paese. Ma la concorrenza scorretta resta e la possibilità che questo straordinario e notevolissimo fenomeno (in termine di quantità, oltre che di qualità) possa mettere a rischio il mercato comune non è esclusa.
Solo che, trattandosi di tasse e cioè di cose che finanziano le spese sociali e comuni, ma infastidiscono il profitto, vengono considerate alla stregua del demonio. Ideologia, appunto.
Roberto Seghetti