A volte ritornano, ma forse non se ne sono mai andati. Esseri mitologici dalla natura poliforme che, a seconda di chi li evoca, possono suscitare paure o speranze. In questo bestiario rientrano la spending review e la patrimoniale, che con cadenze più o meno regolari, ricompare o viene evocata nel dibattito pubblico e politico, non solo italiano. Celebre, al Met Gala di qualche anno fa, l’abito della deputata democratica Ocasio-Cortez con la scritta Tax the Rich.
In Italia l’ultima epifania è la domanda rivolta alla segretaria del Pd, Elly Schlein, durante la trasmissione In Onda su La7 nella puntata di martedì 9 luglio, sull’essere favorevole o meno all’introduzione di una tassa sui ricchi. La risposta della numero uno del Pd non è stata un sì o un no, ma ha spiegato come la tassazione, secondo quanto previsto dalla Costituzione, deve essere progressiva. Chi più ha di più deve contribuire al benessere della collettività.
Invocare una patrimoniale, anche solo pour parler, fa subito storcere il naso alla destra, che la dipinge come un ladrocinio, un mettere le mani nelle tasche dei cittadini più benestanti. Su questo punto c’è una piccola considerazione politica da fare. Se, come racconta la destra, la sinistra rappresenta le città, le élite, il mondo delle ztl, mentre loro sono l’autentica voce del popolo, delle classi sociali più basse, di chi lavora, perché la destra teme così tanto la tassa sui ricchi?
Se così stanno le cose, con una patrimoniale la sinistra tasserebbe il suo elettorato. Se allora è così la destra dovrebbe gongolare di un simile autogol politico. “Vedete, loro (la sinistra) tassano persino chi li vota. Noi, invece, non solo non vi tassiamo, ma vi promettiamo una terra dove scorre latte e miele”.