Jeff Besoz fondatore di Amazon è senz’altro un grande uomo d’affari. Dal nulla ha realizzato un impero economico e un’azienda globale in grado di soddisfare un bisogno latente, che il commercio tradizionale non era in grado di fare.
L’intuizione geniale è stata quella di mettere in sinergia una piattaforma digitale e una rete di distribuzione capillare. La diffusione dell’e-commerce ha fatto il resto.
Ovviamente questo nuovo modello di business ha posto nuovi problemi sociali, ha evidenziato nuove contraddizioni, ne sono la prova gli scioperi proclamati non solo in Italia.
Negli Stati Uniti, in Alabama, in uno stabilimento di Amazon il sindacato RWDSU ha promosso il referendum per poter essere riconosciuto dall’azienda.
Come previsto dalla legge statunitense l’azienda è obbligata a negoziare col sindacato aziendale se questi vieni riconosciuto dalla maggioranza dei lavoratori per il tramite del referendum
Nello stabilimento in questione su 5800 dipendenti hanno votato circa 3000. I no hanno prevalso con 1100 voti contro 463 sì. Quindi l’azienda non ha alcun obbligo di contrattazione collettiva. La campagna di dissuasione aziendale per ottenere l’obiettivo di continuare ad essere uno stabilimento “no-Union” è stata martellante, tra gli argomenti portati: il salario orario di 15 dollari, più del doppio del salario minimo definito nello Stato di Alabama, e la totale copertura sanitaria per tutti i dipendenti. Tutto questo hanno fatto dire a Jeff Besoz “Siamo un’azienda progressista”.
Quindi dove sta l’errore che denuncio già nel titolo?
Esattamente in questo: nella negazione della “normalità” della contrattazione collettiva.
Il fatto che l’imprenditore consideri più efficace la gestione diretta del personale, in tutto e per tutto, senza la mediazione di nessun “corpo intermedio” non è una visione lungimirante.
Non è con il boicottaggio del commercio elettronico che si affermano questi concetti ma è con la continua e tenace battaglia, anche teorica, per la conferma della contrattazione collettiva come pratica più idonea per la composizione del conflitto tra diversi e tutti legittimi interessi.
Lasciare questo fronte unicamente in mano alle organizzazioni sindacali, come se la contrattazione collettiva, fosse solo una questione di parte è un grave errore concettuale.
Il conflitto è solo rimandato nel tempo e prima o poi dovrà trovare uno sbocco negoziale.
Un’azienda non è progressista se paga il doppio del salario minimo, un’azienda ha il dovere e il diritto di fare l’azienda e la lungimiranza di considerare la contrattazione collettiva parte del suo essere.
Luigi Marelli