Lei non si intrometta! Potrebbe sembrare una battuta di Totò rivolta al rompiscatole saccente di turno. E invece è il perentorio avvertimento con il quale Bibì e Bibò, alias Matteo Salvini e Luigi Di Maio, vorrebbero intimorire ogni voce critica, prima che capitan Cocoricò, cioè Conte, faccia finta di metterli in castigo e cerchi di rassicurare l’incauto interlocutore. Sembrerebbe il governo delle comiche se non fosse quello del disastro annunciato.
I numeri sono in bella evidenza. La comunità europea, il Fondo Monetario, le agenzie di rating, l’Istat, la Confindustria, la Banca d’Italia, ora l’Ocse: il nostro Paese è in stallo e rischia di precipitare. Tutti servi della finanza internazionale, attori di un complotto per metterci in ginocchio e dividersi le nostre spoglie, replicano gli ineffabili vice-premier. Uccelli del malaugurio. Falchi. Anzi, gufi, parafrasando Renzi. Persino il prudente ministro dell’Economia non deve impicciarsi più di tanto. Ha solo facoltà di eseguire gli ordini dei novelli gerarchi, altrimenti anche lui è un traditore della patria e deve essere trascinato davanti al tribunale speciale, pardon: del popolo, magari con giudici che vestono la toga della commissione d’inchiesta sulle banche. Giovanni Tria, che vorrebbero relegare al ruolo di un Don Abbondio, prova a resistere ma ecco, come in ogni regime che si rispetti, vengono tirate fuori storie grigie come quella che riguarda i presunti conflitti di interesse della sua consigliera Claudia Bugno e l’assunzione del figlio della seconda moglie (figliastro, lo chiamano con tono dispregiativo gli accusatori).
Le zone oscure vanno illuminate, certamente. Ma se il timido e scolorito successore di Einaudi e di Ciampi saltasse o fosse costretto a dire sempre sì perché messo nell’angolo, intimidito, minacciato, questo non significherebbe il radioso via libera alla ripresa economica evocata dal ministro dello Sviluppo (che andrebbe ribattezzato dicastero della Regressione) ma, al contrario, la rottura di un altro freno e l’accelerazione dell’irresponsabile corsa verso il baratro. Sarebbe sì l’anno del boom, però nel senso dell’esplosione di tutti i conti pubblici. Con esiti imprevedibili, perché non si sa chi potrebbe raccogliere i cocci.
In una prospettiva così incerta, le elezioni per il Parlamento di Strasburgo vengono paragonate, sia dai Cinquestelle sia dalla Lega, ad una crociata contro l’austerità e la dittatura dei burocrati. Come se un cambio di maggioranza alla guida della Ue, ancora tutta da dimostrare, potesse allentare i nostri nodi scorsoi. Se si vuole la crescita, bisogna seminare fiducia e serenità, non coltivare paura e risentimento. Vogliamo emanciparci da Bruxelles ma rischiamo di diventare vassalli della Cina o della Russia, magari in contemporanea. Arlecchino, servitore di due padroni. La colpa, in ogni caso, è sempre degli altri.
In questa folle sarabanda nessuno deve disturbare i manovratori, ben incollati sulle loro poltrone e per nulla propensi a lasciare il potere conquistato con bramosa prosopopea. Ecco l’intolleranza verso gli istituti economici e gli organismi di garanzia (tra poco toccherà di nuovo al Presidente della Repubblica). Chi non è stato votato direttamente non può impicciarsi. Anche a Rami, il ragazzo eroe del bus di San Donato Milanese, prima di regalargli la cittadinanza, hanno detto che se voleva parlare dei diritti degli immigrati avrebbe dovuto candidarsi. Il diritto di parola spetta solo agli eletti, anzi gli Eletti, con la e maiuscola.
Ma mi faccia il piacere! Sì, ci vorrebbe Totò.
Marco Cianca