L’azienda ha contestato alla lavoratrice di essersi rifiutata, per ben due volte, di sottoporsi alla visita medica necessaria per accertare la sua idoneità allo svolgimento delle nuove mansioni che aveva deciso di attribuirle.
La lavoratrice si è giustificata sostenendo, con riferimento alla prima lettera di contestazione di addebito, che non era possibile sottoporsi ad esami invasivi come i prelievi di sangue all’interno di una stanza “riunioni aziendali” non asettica e neanche disinfettata, ribadendo la propria disponibilità alla visita in un luogo idoneo; sulla seconda lettera di contestazione di addebito eccepiva che, prima della data di convocazione per la richiesta visita, aveva inviato all’azienda una lettera nella quale aveva affermato che si era presentata presso l’appalto per prendere notizie sulle mansioni e che, appresa la notizia che concernevano quelle di addetta alle pulizie, aveva dichiarato la sua indisponibilità all’accertamento medico finalizzato allo svolgimento di mansioni che riteneva illegittime perché non confacenti ed equivalenti alla propria professionalità.
All’esito della procedura di contestazione di addebito, l’azienda ha comunicato il licenziamento disciplinare assumendo che la sua richiesta di sottoposizione a visita medica era conforme alla legge e il rifiuto della dipendente doveva reputarsi illegittimo e non giustificato.
Il Tribunale e la Corte di Appello di Bologna hanno dichiarato la legittimità del licenziamento. La lavoratrice ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la visita medica disposta dall’azienda aveva la sola finalità di accertare la sua idoneità non allo svolgimento delle mansioni già assegnate e in corso di svolgimento, come previsto dalla L. n. 300 del 1970, art. 5, bensì l’idoneità a svolgere nuove e ben diverse mansioni lavorative assegnatele illegittimamente, per cui la fattispecie concreta non era sussumibile in quella normativamente prevista, in quanto non avrebbe dovuto essere considerato solo il fatto oggettivo del cambio di mansioni, ma anche quello finalistico della illegittimità del nuovo incarico.
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso rilevando “che la visita medica di idoneità in ipotesi di cambio delle mansioni è prescritta per legge e la richiesta di sottoposizione a visita, da parte del datore di lavoro, prima della assegnazione alle nuove mansioni, come correttamente sottolineato dalla Corte distrettuale, non è censurabile e, anzi, è un adempimento dovuto.
Deve, quindi, valutarsi se il rifiuto della lavoratrice, perché rivolto a contrastare un illegittimo demansionamento, atteso che le nuove mansioni erano state ritenute dalla lavoratrice non conformi alla qualifica rivestita e non compatibili con le condizioni di salute, fosse o meno legittimo. La decisione della Corte di merito, sul punto, è corretta e va condivisa. La visita medico disposta (del 12.9.2017) era preventiva e prodromica all’assegnazione delle nuove mansioni (del 18.9.2017): l’omissione di detta visita avrebbe costituito un colposo e grave inadempimento di parte datoriale. Coerentemente è stata disposta, a seguito della contestazione della lavoratrice, una nuova visita per il 19.9.2017, senza che fossero espletate le diverse e nuove mansioni; anche a tale visita la lavoratrice non si era sottoposta adducendo nuove ragioni. La reazione della lavoratrice non è assolutamente giustificabile ai sensi dell’art. 1460 c.c. perché, da un lato, il datore di lavoro si era limitato ad adeguare la propria condotta alle prescrizioni imposte dalla legge per la tutela delle condizioni fisiche dei dipendenti nell’espletamento delle mansioni loro assegnate e, dall’altro, la dipendente avrebbe ben potuto impugnare un eventuale esito della visita, qualora non condiviso, ovvero l’asserito illegittimo demansionamento, innanzi agli organi competenti.
L’art. 1460 c.c., invocato dall’odierna ricorrente, è applicabile solo in caso di totale inadempimento del datore di lavoro o in ipotesi di gravità della condotta tanto grave da incidere in maniera irrimediabile sulle esigenze vitali del lavoratore medesimo”. Cassazione civile sez. lav., n.22094., dep. 13/07/2022.
Nel caso esaminato non è stato ritenuto applicabile il principio inadimplenti non est adimplendum, che, invece, la Corte ha sempre applicato e riconosciuto in materia di trasferimento rivelatosi, all’esame dei fatti, privo delle comprovate ragioni organizzative, produttive o sostitutive. In quest’ultima fattispecie è stato ritenuto legittimo il rifiuto del lavoratore ad adempiere l’ordine illegittimo di trasferirsi in altro luogo.
Biagio Cartillone