La Corte Costituzione è stata di recente chiamata a pronunciarsi, ancora una volta, sulla legittimità o meno della tutela indennitaria prevista dal cd. “Jobs Act”, questa volta nell’ambito dei licenziamenti collettivi.
La Consulta, con la sentenza n. 7/2024, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, co. 1 e 10 del D.Lgs. n. 23/2015, sollevate dalla Corte di Appello di Napoli in relazione alle conseguenze della violazione dei criteri di scelta dei lavoratori ritenuti in esubero, vale a dire relativamente alla condanna del datore di lavoro al pagamento di un’indennità in misura non inferiore a 6 e non superiore a 36 mensilità. Ed infatti, il “Jobs Act” ha introdotto la cd. tutela indennitaria forte, sostituendo la cd. tutela reale limitata di cui all’art. 18, co. 4, L. n. 300/1970 –applicabile ai soli lavoratori assunti in data antecedente al 7 marzo 2015-, la quale prevedeva la reintegrazione.
Tra le censure mosse dal Giudice a quo vi era quella per cui le citate disposizioni normative avrebbero violato i criteri direttivi della Legge di Delega n. 183/2014, la quale aveva escluso, per i “licenziamenti economici” di lavoratori assunti con contratti a tutele crescenti, la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, e aveva previsto un indennizzo economico, limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato.
Ebbene, la Corte Costituzionale, valutando anche i lavori parlamentari, in uno con la finalità complessiva perseguita dal “Jobs Act”, ha ritenuto che il riferimento contenuto nella Legge di Delega ai “licenziamenti economici” riguardasse sia quelli individuali per giustificato motivo oggettivo, come quelli collettivi e che, pertanto, l’introduzione della tutela cd. indennitaria non sarebbe avvenuta in violazione della delega parlamentare e, dunque, in violazione dell’art. 76 Cost..
Inoltre, il Giudice delle Leggi ha ritenuto non fondata anche la seconda censura avanzata dalla Corte di Appello di Napoli in relazione ad una violazione del principio di eguaglianza ex art. 3 Cost., comparando i lavoratori “anziani” (assunti prima del 7 marzo 2015), che conservano la più favorevole disciplina precedente e quindi la reintegrazione nel posto di lavoro, con i lavoratori “giovani” (assunti a far data dal 7 marzo 2015), ai quali si applica la nuova disciplina del D.Lgs. n. 23/2015. Nelle proprie motivazioni, la Corte ha affermato che il riferimento temporale alla data di assunzione, lungi dall’essere motivo di discriminazione, consente di differenziare le situazioni, al fine di perseguire l’obiettivo indicato nella Legge di Delega “di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione” (art. 1, co. 7, L. n. 183/2014).
Infine, relativamente al terzo motivo di censura, la Consulta ha ritenuto non inadeguata la tutela indennitaria, sostenendo che il limite massimo dell’indennizzo dovuto al lavoratore illegittimamente licenziato, ancor più a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 87/2018, che ha elevato tale limite da 24 a 36 mensilità, “non si pone in contrasto con il canone di necessaria adeguatezza del risarcimento, che richiede che il ristoro sia tale da realizzare un adeguato contemperamento degli interessi in conflitto”.
Pertanto, la Corte Costituzionale, stante l’infondatezza di tutte le questioni di incostituzionalità suesposte, ha confermato la legittimità della disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 23/2015, segnalando altresì al Legislatore che “la materia, frutto di interventi normativi stratificati, non può che essere rivista in termini complessivi, che investano sia i criteri distintivi tra i regimi applicabili ai diversi datori di lavoro, sia la funzione dissuasiva dei rimedi previsti per le disparate fattispecie”. Vedremo se tale indicazione (un monito?) sarà o meno colta dal Legislatore.
Lorenzo Cola
avvocato presso Studio Legale de Berardinis Mozzi