Per comprendere il livello di interesse del presidente del Consiglio Renzi nei confronti della sanità non occorre ricercare qualche esternazione al vetriolo di Beppe Grillo o una delle tante parodie di Maurizio Crozza; è sufficiente leggere il resoconto sommario dei lavori della 12^ Commissione Igiene e Sanità del Senato sul tema “La sostenibilità del Servizio sanitario nazionale con particolare riferimento alla garanzia dei principi di universalità, solidarietà ed equità”
Nel documento i senatori dopo avere amaramente constatato che: “La sottovalutazione del contributo della salute e della sanità allo sviluppo economico e umano di una popolazione spiega la difficoltà che hanno i governi di tutti i paesi a porre la salute fra le priorità dell’agenda politica (con l’unica – parziale eccezione degli Usa, il cui presidente B.Obama ha faticosamente imposto un percorso di riforma del sistema sanitario ancora in via di implementazione)”
Si esprimono in tali termini nei confronti del livello di attenzione a tali temi del Presidente Renzi: “Non a caso, con il dovuto rispetto ma anche con un pizzico di ironia, circola fra tutti i componenti della Commissione Igiene e Sanità del Senato la convinzione che sia necessario un sonoro starnuto per far pronunciare a un presidente del Consiglio la parola “salute”.
In realtà i temi della salute non sono semplicemente scomparsi dal lessico del presidente Renzi (come anche da quello dei precedenti), ma hanno subito un destino ben peggiore, come più avanti spiegato in dettaglio dalla medesima relazione.
“I molteplici vincoli imposti alla spesa e alla dotazione del personale stanno indebolendo il servizio sanitario in tutte le regioni, elevando l’età media dei dipendenti e demotivando la principale risorsa su cui può contare un sistema di tutela della salute. Una accurata revisione dei vincoli vigenti introducendo elementi di flessibilità, soprattutto ove causa di effetti perversi, appare necessaria per la salvaguardia e la sostenibilità del sistema…
La spesa sanitaria italiana negli anni Novanta risultava già tra le più basse in Europa: ad esempio, secondo i dati OCSE, nel 1990 la spesa sanitaria totale procapite ammontava a 1.355 US$ PPP, rispetto ai 1.442 US$ PPP della Francia e ai 1.781 US$ PPP della Germania. I dati relativi alla crescita annuale della spesa sanitaria per abitante mostrano che dall’inizio degli anni Novanta al 2012 l’Italia ha registrato dinamiche di spesa sanitaria inferiori a quelle riscontrate negli altri Paesi europei utilizzati come termine di paragone. Tali dati dimostrano che la spesa sanitaria italiana può considerarsi già oggi sostenibile, nel senso che non è eccessiva rispetto ai risultati raggiunti (a livello macro) ed è sensibilmente inferiore rispetto a quanto fanno i maggiori paesi europei”.
Gli interventi sulla sanità, dunque, si sono limitati esclusivamente a tagli consistenti (pari a oltre 30 miliardi in un solo quinquennio), condotti in modo lineare e senza avere esperito alcun tentativo serio di migliorare gli assets organizzativi di un sistema che va assolutamente migliorato; e di questo quadro ne danno conto gli stessi senatori alcuni dei quali, molto autorevoli, appartenenti allo stesso partito del presidente Renzi.
La razionalizzazione del sistema sanitario non può però limitarsi al solo efficientamento dei fattori di spesa, ma dovrebbe essere più marcata nella ridefinizione delle priorità, accelerando per questa via il passaggio da un modello centrato sugli ospedali ad uno orientato sui servizi di comunità e sulla maggiore integrazione con le altre strutture. E a supporto di questa tesi si è espresso il rappresentante dell’Oecd che nei confronti di spesa con i maggiori paesi europei lamenta per il nostro paese non solo lo svantaggio di risorse riservate al Ssn, ma anche un deficit di prestazioni extraospedaliere, quali l’assistenza territoriale, la prevenzione, la long term care.
Altrettanto critica la situazione relativa alla risorsa umana che di ogni servizio sanitario è la componente ineliminabile e in assoluto più qualificante. Il personale costituisce peraltro oggi uno dei fattori di maggiore criticità del sistema sanitario Nazionale. La ragione è principalmente da ricondurre ai tanti vincoli imposti, sia alla spesa sia alla dotazione di personale, in questi ultimi anni, in particolare nelle regioni sottoposte a Piano di Rientro: riduzione della spesa rispetto al livello del 2009; blocco totale o parziale del turn over, in particolare in caso di disavanzo sanitario; blocco delle procedure contrattuali; blocco della indennità di vacanza contrattuale (congelata al 2013); blocco dei trattamenti accessori della retribuzione; contenimento della spesa per il lavoro flessibile, riduzione delle risorse per la formazione specialistica dei medici.
Un insieme di vincoli che, se hanno consentito una riduzione dal 2010 al 2013 di circa 1,5 miliardo di euro (e ulteriori 700 milioni di risparmio sono già previsti per i prossimi anni), hanno anche prodotto una riduzione della capacità di risposta ai bisogni della popolazione (aumento delle liste di attesa e limitazioni dell’offerta soprattutto nella componente sociosanitaria), un aumento dell’età media dei dipendenti (il 36% dei medici ha più di 55 anni e il 30% degli infermieri ha più di 50 anni), un incremento dei carichi di lavoro e dei turni straordinari di lavoro del personale, nonché una serie di problematiche tra cui un malessere diffuso tra gli operatori ed una sempre più diffusa abitudine a ricorrere a varie forme di outsourcing elusive della normativa sul blocco.
E per quanto riguarda la spesa per il personale dipendente quella “dell’anno 2013 è addirittura inferiore a quella dell’anno 2008; per il 2014 i dati provvisori riportati nel recente Documento di Economia e Finanza per il 2015 indicano una sua ulteriore riduzione (dello 0,7%) ”.
Il quadro che emerge dalla relazione è dunque abbastanza sconfortante e forse anche troppo ottimistico rispetto alla realtà.
Su questo tema infatti è intervenuto Cesare Fassari direttore del giornale online Quotidiano Sanità che in un suo editoriale dal titolo “ Ma il SSN c’è ancora?” ha analizzato nel dettaglio come il SSN sia cambiato negli ultimi 15 anni e questo è quello che ne è emerso
1) Posti letto: nel periodo 2000-2013, la riduzione ha raggiunto una quota del 24%, pari a meno 71.233 letti. Come se non bastasse, dai nuovi standard ospedalieri si aspetta ora un’ulteriore riduzione di circa 3.000 letti nei prossimi anni.
2) Strutture di ricovero: se nel 2001 tra pubblico e privato le strutture erano a quota 1.308 strutture, nel 2012 se ne contano solo 1.091 (Corte dei Conti). Un calo del 17%, e quasi tutto concentrato nel pubblico dove nell’ultimo decennio è stato chiuso un ospedale su quattro con la conclusione che in Italia, quasi una struttura sanitaria su due è ormai privata
3) Assistenza territoriale: Dal 2001 il rapporto tra il numero di abitanti e medici di famiglia e pediatri è sceso di circa 7%. Poi si è registrato il brusco calo dei laboratori di analisi: dal 2001 al 2012 ce ne sono il 33% in meno. In calo anche i servizi di guardia medica e nell’assistenza domiciliare si registrano 5 ore di assistenza medica in meno per paziente (nel 2001 in media 27 ore, nel 2012 sono 22) e 6 ore in meno di assistenza infermieristica (erano 22 ore nel 2001 mentre sono scese a 14 nel 2012).
4) Personale: la scura dei tagli si è abbattuta in modo particolarmente sui medici che dal 2009 ad oggi sono ridotti di 24.unità con un aggravio di lavoro sui rimasti in servizio che ha toccato punte di vera e propria sofferenza
5) Tickets: la spesa La spesa per quelli su farmaci, visite ed esami specialistici e pronto soccorso è arrivata nel 2014 a quota 3 miliardi di euro, mentre quello sui farmaci dal 2008 ad oggi è di fatto raddoppiato passando da 650 mln di euro, a quota 1,5 mld el 2014
6) Spesa privata: la spesa out of pocket, ossia quella affrontata di tasca propria dai cittadini per usufruire di servizi che, in buona parte, dovrebbero essere garantiti dal Ssn, è arrivata a quota 33 miliardi. Una cifra mostruosa ( superiore al 35% del totale) se la si raffronta con la spesa per l’intero Ssn che è a quota 111 miliardi
Questa è dunque la situazione reale del nostro servizio nazionale; emblema di un paese che al pari della Grecia ha scelto di comprimere i livelli di assistenza per risolvere la questione del debito sovrano e della crisi economica del paese. Una scelta miope che non risolve i problemi della crescita, legata soprattutto alla scarsa competitività e alla zavorra della corruzione, e che aggrava invece le condizioni di salute generali delle popolazioni specie nelle regioni sottoposte a piani di rientro dove più forte è stata la stretta finanziaria. Risultato di tutto questo: privatizzazione forzata e soprattutto, allungamento dei tempi di attesa, peggioramento dei livelli di qualità e soprattutto rinuncia da parte dei cittadini alle cure perché troppo onerose.
Ancora una volta i mali del paese coincidono con quelli della sua classe politica incapace di modernizzare il paese o che usa questo termine solo per sostituire le élites politiche ( ovvero sia i diversi gruppi di potere) senza risolvere i (purtroppo storici) problemi che sono piombo per le nostre ali.
Un quadro funesto a cui nessuno (Renzi prima maniera compreso) riesce a imprimere una svolta.
Roberto Polillo