Ha vinto la ragione. La Cgil è approdata a un accordo sul prossimo gruppo dirigente mettendo da parte le divisioni che si erano determinate in queste settimane e che rischiavano di affondare la barca. Nella notte è stato trovato l’accordo per fare Maurizio Landini segretario generale della Cgil e Vincenzo Colla come suo vice, al pari di Gianna Fracassi, attualmente segretaria confederale, che si è trovata improvvisamente al vertice o quasi dell’organizzazione. È stato così confermato che in Cgil la cosa più importante, da preservare a tutti i costi, anche con sacrifici personali, è l’unità interna, all’altare della quale spesso e volentieri la confederazione ha sacrificato altri obiettivi, pure molto rilevanti.
I problemi vengono adesso, perché la divisione sulle prospettive e le strategie non è stata superata dall’accordo. Resta il fatto che metà della confederazione pensa certe cose e l’altra metà cose forse diametralmente opposte. Convivere non sarà facile, anche perché la presenza dei colliani, la fazione che portava avanti Vincenzo Colla, ha ottenuto almeno uno se non due posti in più in segreteria confederale, potendo così ora contare su un potere non effimero. Non sarà facile, ma si può scommettere sulla possibilità di far vivere questa convivenza, perché Maurizio Landini e Vincenzo Colla sono così vicini che potrebbe essere molto facile per loro trovare il giusto modo per lavorare fianco a fianco.
Anche perché le prove che attendono il sindacato sono molto dure. C’è da definire per prima cosa il contrasto con il governo sulla politica economica e non solo su questa. Il 9 febbraio le tre confederazioni manifesteranno contro la politica del governo, ma sarà solo un primo atto, perché la battaglia deve continuare a lungo e sarà resa più difficile dal fatto che tanti lavoratori, con in tasca la tessera di Cgil, Cisl o Uil hanno votato per quei partiti e di loro si fidano, per cui saranno chiamati a scelte non facili. Ma questo è un compito primario per il sindacato, perché ai propri principi di fondo non si rinuncia. Il lavoro di “riportare a casa” quei lavoratori, riaffermato recentemente da diversi esponenti della Cgil, non può essere lasciato cadere, deve diventare uno degli asset di impegno di tutto il movimento sindacale.
C’è poi da risanare e sviluppare la contrattazione, compito difficile ma anche questo ineludibile, perché non è possibile rinunciare a portare a casa benefici materiali in una situazione economica e sociale di difficoltà come quella che stiamo vivendo. Ne fanno fede i dati sulla rappresentatività dei sindacati nel pubblico impiego che l’Aran ha messo a punto e che la settimana passata sono stati anticipati da Il diario del lavoro. Le tre grandi confederazioni, in tutti i comparti contrattuali, hanno risentito pesantemente del blocco della contrattazione per lunghi sette anni e dei risultati modesti portati a casa con gli ultimi rinnovi. La battaglia salariale, già da sola, si pone come un terribile banco di prova.
E infine il mondo del lavoro è chiamato ad affrontare il nodo dell’unità sindacale. Maurizio Landini l’ha posto per primo da tempo, e Il diario del lavoro è stato tempestivo nel cogliere la novità delle sue dichiarazioni. Susanna Camusso ha ripreso il tema nella sua relazione di ieri a Bari, i leader di Cisl e Uil hanno dato la loro ampia disponibilità. Adesso, ha detto subito Carmelo Barbagallo, si tratta di passare dalle parole ai fatti, aprendo una fase operativa per mettere a fuoco i cardini quanto meno di una federazione più forte di quella che ha vissuto finora. Forse è proprio questa la cosa più importante cui dedicarsi, perché una vera unità potrebbe rafforzare il sindacato, il suo rapporto con i lavoratori, e quindi anche gli altri obiettivi potrebbero risultare più vicini.
Massimo Mascini