“Ho visto i buchi nelle sue scarpe”. Wim Wenders aveva appena finito di girare “Un uomo di parola” e le penose condizioni delle calzature papali gli erano rimaste impresse come il simbolo di una fedeltà sconvolgente. Il titolo del documentario è infatti un omaggio alla coerenza di chi ha scelto il nome di Francesco e cammina, con le suole consumate, sulle orme del Poverello. “Penso che davvero lui non abbia il senso del possesso”, testimonia il regista tedesco. La pellicola, terminata nel 2018, voce narrante dello stesso autore, è stato proiettata per la prima volta dalla Rai venerdì sera, dopo la sobria e intensa Via Crucis, confinata dalla pandemia sul sacrato vaticano.
“Non dimenticherò mai i suoi occhi”, asserisce l’artista, rendendo omaggio, con “una biografia delle idee che sono molto vicine al mio cuore”, a questo strano pontefice “umile e coraggioso, venuto dalla fine del mondo”. “Apparteniamo alla stessa famiglia e l’unico modo per sopravvivere e affrontare le difficoltà è farlo assieme, come genere umano. Possiamo tutti vivere con qualcosa di meno rinunciando anche a piccole cose”, esorta il cantore del “Cielo sopra Berlino”.
Bergoglio lo ha ripetuto nelle celebrazioni pasquali: accumulare denaro significa essere schiavi del Male. Non si possono servire contemporaneamente Dio e Mammona. Torna il pauperismo originario del messaggio cristiano e trionfa sulla chiesa della ricchezza e del potere. I mercanti vengono scacciati di nuovo dal Tempio. Celestino V non fa “il gran rifiuto” e impedisce l’ascesa di Bonifacio VIII. È come se le eresie che nel corso dei secoli hanno infuocato le classi oppresse trovassero finalmente una rispondenza. Che direbbero, oggi, i dolciniani, i seguaci di John Wyclif o i taboriti di Boemia? Wilhelm Weitling lo iscriverebbe d’ufficio alla Lega dei Giusti.
Ma chi sarà il successore? Potrà esserci un Pontefice nero? E una donna siederà un giorno sul soglio di Pietro senza nascondere il proprio sesso, come narra la leggenda di Giovanna?
Domande assurde. Roba da profezie di Nostradamus. Deliri di un miscredente fattosi papista. Certo. Ma di sicuro nessuno può negare quanto sia insanabile la frattura che Francesco sta imprimendo alla storia del cattolicesimo. I suoi apologeti, per difenderlo dalle accuse dei rabbiosi conservatori, ripetono che in realtà egli si muove nel solco della tradizione, come dimostrerebbero i numerosi riferimenti a discorsi ed encicliche dei predecessori. Ma se nella forma può essere giustificato, per la sostanza bisogna risalire agli atti degli apostoli o alle drastiche scelte del patrono d’Italia che lo ispira.
Uomo di parola, assicura Wenders. E uomo che non tace. L’antitesi di quel Pio XII che tenne la bocca chiusa di fronte al nazismo e alla tragedia degli ebrei. “Un papa che misura il suo silenzio è un Papa che si adatta ad una società che da troppo tempo è stata abituata a non tenere conto della verità del Vangelo e che ha lasciato crescere l’erba degli interessi immediati sul tronco stesso dell’uomo”, scrisse Carlo Bo nella prefazione allo scandaloso “Il Vicario” di Rolf Hochhuth.
Anche le espressioni che usa hanno un’impronta rivoluzionaria. In “Fratres omnes” emula i sanculotti chiedendo “libertà, uguaglianza e fraternità”. Domenica, durante la benedizione Urbi et Orbi, ha invocato “l’internazionalismo dei vaccini”. Trovando, almeno in questo, immediato apprezzamento da parte di Joe Biden. Lunedì dell’Angelo, nel corso del Regina Coeli, ha ammonito che i soldi non possono comprare la verità.
Scarpe rotte, eppur bisogna andar, cantavano i partigiani. E Bergoglio va, con i buchi nei calzari, mentre fischia il vento dell’egoismo e infuria la bufera del virus.
Marco Cianca