Il tono è, comprensibilmente, un po’ enfatico, mentre la prosa è improntata a canoni che risultano compressi entro i confini dell’aziendalese, da un lato, e del gergo borsistico, dall’altro. Rilievi stilistici a parte, le sette pagine del comunicato congiunto emesso oggi da Psa e Fca segnano una tappa importante nel percorso che, dopo i primi annunci risalenti alla fine dell’ottobre scorso, dovrebbe portare, nel 2020, alla nascita effettiva di quello che si propone di essere il quarto gruppo automobilistico al mondo in termini di volumi prodotti, dopo Volkswagen, Toyota e l’alleanza Renault-Nissan, e poco sopra alla General Motors.
Peraltro, il comunicato, intitolato “Groupe Psa e Fca raggiungono accordo per una fusione”, non è giunto inatteso dopo un inizio di settimana segnato da eventi convergenti nella direzione di un passaggio positivo della trattativa in corso. Nella serata di lunedì 16 dicembre, infatti, il progetto di fusione era stato approvato in modo unanime dalla famiglia Peugeot, nonché dalla banca d’investimento pubblica francese Bpi. Ovvero da due soggetti ciascuno dei quali possiede il 12,23% di Psa. Nella serata successiva, quella di martedì 17, sono poi giunti i sì del Consiglio di sorveglianza della stessa Psa e del Consiglio di amministrazione di Fca, quest’ultimo presieduto da John Elkann.
Sempre secondo il comunicato odierno, le vendite annuali del nuovo gruppo dovrebbero attestarsi su 8,7 milioni di veicoli, mentre i “ricavi congiunti” dovrebbero toccare la cifra di “quasi 170 miliardi di euro”. Previsioni, si dirà. E qualcuno potrebbe aggiungere: previsioni ottimistiche. Ma resta il fatto che, come ha sottolineato Mike Manley, Amministratore delegato di Fca, il nuovo gruppo metterà insieme una lista abbastanza impressionante di marchi, fra cui Fiat, Alfa Romeo, Maserati, Chrysler, Jeep, Ram, Peugeot, Citröen, Opel e Vauxhall. In sostanza, con la nascita del nuovo gruppo, Fiat Chrysler dovrebbe stabilmente raggiungere l’obiettivo che Marchionne si era posto fin dal 2008, quando reggeva le sorti della Fiat da quattro anni: entrare nel novero dei primi sei produttori mondiali di auto. Il che, ovviamente, vale anche per Psa.
Gli altri aspetti positivi dell’annunciata fusione sono, essenzialmente, due. Primo, la complementarietà geografica fra i due gruppi. Infatti, mentre Fca è forte in Nord America e ha una buona presenza anche in Sud America, Psa è forte in Europa. Secondo, la complementarietà tecnologica: Psa è più forte di Fca per ciò che riguarda la ricerca e sviluppo nel campo dell’auto elettrica, ovvero nel campo che rappresenta, contemporaneamente, il punto debole della stessa Fca e il terreno principale della transizione tecnologica attualmente in corso. Aggiungiamo, su un piano informativo, che, per motivi fiscali, la nuova società avrà sede in Olanda, come già Fca, e sarà quotata alle borse di Milano, Parigi e New York, mentre le sedi operative saranno collocate a Torino, Parigi e Auburn Hills (Michigan). Insomma, un’azienda concepita in una dimensione veramente globale.
Ma non c’è rosa senza spine. E qui le spine sono parecchie. La prima delle quali è quella relativa alla famosa domanda “chi comanda qui”?. La nuova società sarà costruita su un piano di pariteticità: 50% Fca e 50% Psa. A questo proposito, il comunicato parla di “una solida struttura di governance a supporto della performance del nuovo gruppo”, con “John Elkann alla Presidenza e Carlos Tavares, in qualità di Ceo”. In pratica, presidente di provenienza Fca e Amministratore delegato di provenienza Psa. Solo che, a quanto si apprende, il Consiglio di Amministrazione sarà formato da 11 membri, 5 dei quali in rappresentanza di Fca e altri 5 in rappresentanza di Psa. L’undicesimo sarà il succitato Tavares, ovvero l’attuale Amministratore delegato di Psa. A ciò va aggiunto che Tavares dovrebbe mantenere tra le sue mani il volante del nuovo gruppo per almeno cinque anni. Il dubbio che si è quindi formato nella mente di diversi osservatori italiani è che, in sostanza, si profili il rischio di un gruppo guidato da Parigi, sede storica di Psa, più che da Torino, sede storica di Fiat, o da Auburn Hills, sede del quartier generale di Fca
La seconda spina è relativa alla relativa debolezza della nuova società nel mercato dell’auto attualmente più dinamico, ovvero in Asia. Mettendo insieme i loro marchi europei, Psa e Fca possono costituire il secondo gruppo in Europa, ma in Asia sono ancora molto indietro. La terza spina è quella relativa alle possibili sovrapposizioni. Per quanto riguarda i modelli, è ancora troppo presto per parlarne. Nel senso che tutti gli osservatori concordano sull’idea che occorrerà uno sforzo per sfornarne di nuovi che siano capaci di intercettare una domanda sempre più difficile da definire e prevedere. Così come concordano sull’idea che, per adesso, l’unica certezza è quella relativa versatilità delle due principali piattaforme attualmente progettate in casa Psa. Ma cosa ci sarà montato sopra, ancora, non si sa.
C’è però, sullo sfondo, il problema della capacità produttiva installata. Un problema che la fusione, paradossalmente, potrebbe aggravare. Non è che, per ciò che riguarda l’Europa, possa trattarsi, in prospettiva, di una sovraccapacità produttiva? Stando al comunicato odierno, Fca e Psa si aspettano di realizzare, con la loro fusione, delle economie di scala. D’altra parte, le previste sinergie “non prevedono alcuna chiusura di stabilimenti in conseguenza dell’operazione”. Tuttavia, lo storico dell’industria Giuseppe Berta, intervistato oggi dal Gr 1 Rai, ha ricordato che, in Italia, Fca si articola su diversi stabilimenti e che più d’uno tra questi è sottoutilizzato. Intanto, venerdì 20, è stato messo in calendario un primo incontro tra l’attuale Fca e i sindacati italiani. E’ possibile che, in questa data, i sindacati chiedano a Fca anche qualche prima delucidazione sull’annunccio relativo al fatto che due posti del Consiglio di amministrazione saranno riservati a rappresentanti sindacali.
@Fernando_Liuzzi