L’Annuario del lavoro 2016 ha riportato tra le altre cose un lungo articolo del professor Tiziano Treu, che ha fatto il punto delle diverse riforme del lavoro che si sono succedute in questi ultimi anni, facendo il punto argomento per argomento. Un lavoro importante, per l’autorevolezza di chi lo ha redatto, soprattutto perché l’affastellarsi dei diversi interventi ha causato molta incertezza. Una voce chiara che spieghi nei dettagli, per ciascun istituto cosa è accaduto e indichi anche cosa sarebbe bene fare, rappresenta un aiuto importante per chi si aggira nel vasto mondo del lavoro.
E’ nella considerazione della rilevanza di questo lavoro che abbiamo deciso di farlo conoscere a tutti i lettori de Il diario del lavoro che non sempre si identificano con quelli dell’Annuario del lavoro. Pubblicheremo così i diversi paragrafi del lavoro del professor Treu che ringraziamo per la disponibilità che ci ha dimostrato.
Le riforme del lavoro degli ultimi anni (seconda puntata)
3. I dati sui licenziamenti
Il monitoraggio del ministero del Lavoro fornisce anche una prima risposta circa l’andamento dei licenziamenti per i neo assunti delle imprese con oltre 15 dipendenti, quelli interessati dalla modifica dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Le indicazioni più rilevanti sono due.
La dinamica generale delle cessazioni nel corso del 2015 segnala una riduzione dei licenziamenti, che passano da 714.955 del 20154 a 625.525 del 2015 (-12%) e una crescita delle dimissioni dei lavoratori (da 804.099 a 915.578)5. Particolarmente significativo è il confronto fra i licenziamenti dei rapporti di lavoro attivati nell’anno precedente il 6 marzo 2015, regolati dal vecchio art. 18 e quelli attivati nell’anno successivo, all’entrata in vigore del Jobs Act. Il confronto è significativo perché segnala un modesto incremento nel numero massimo di licenziamenti nel secondo gruppo (+14.435), che peraltro non compensa l’impennata delle attivazioni, con la conseguenza che l’incidenza dei licenziamenti nel primo anno di lavoro scende dall’8,7% registrato con il vecchio regime al 7.1% riscontrato con la nuova normativa. L’aumento dei licenziamenti segnalati negli ultimi mesi si spiega con la nuova norma dell’art. 26 del decreto 151/2015 secondo cui le dimissioni devono essere fatte esclusivamente con modalità telematiche.
Anche qui si tratta di prime indicazioni. Ma pur con le dovute cautele, i dati non sembrano avallare la preoccupazione, espressa da molti, che il superamento della “reintegrazione” nel nuovo art. 18 avrebbe comportato una impennata di licenziamenti.
Il dato è tanto più significativo perché l’eventuale licenziamento ingiustificato nel primo anno di lavoro comporta una sanzione indennitaria alquanto contenuta, in quanto la nuova regola dell’art. 18 la rapporta rigorosamente all’anzianità di servizio. In effetti la debolezza delle sanzioni indennitarie per i licenziamenti ingiustificati è ritenuto un aspetto alquanto discutibile del nuovo art. 18, anche da chi come me non ne critica l’impianto riformatore generale, né il superamento della regola della reintegrazione.
Più complessa è la valutazione da farsi circa la regolazione dei licenziamenti collettivi. Qui infatti occorre considerare non solo le conseguenze sul singolo lavoratore licenziato dell’eventuale violazione dei criteri di scelta, unico aspetto su cui interviene la modifica dell’art. 18, bensì due altre serie di normative. Anzitutto è da valutare il complesso delle procedure da attivarsi prima del licenziamento con l’intento di valutarlo o di ridurne la dimensione (sia le procedure di informazione e consultazione sindacale e in generale la normativa sulla Cig di sospensione del rapporto nei casi di crisi). In secondo luogo sono rilevanti le tutele della disoccupazione dei lavoratori licenziati e gli strumenti di politica attiva di supporto alla ricollocazione.
Sul primo punto il legislatore non ha raccolto le sollecitazioni di molti operatori a semplificare tali procedure. Ma i problemi sorti in passato al riguardo sono stati ridimensionati a seguito della nuova normativa, che ha riconosciuto alle parti la possibilità di correggere errori procedurali e che ha escluso la reintegrazione in caso di errore nella scelta dei lavoratori da licenziare.
Sul secondo punto i decreti 22 e 148/2015 hanno profondamente modificato il contesto regolativo con la revisione degli ammortizzatori sociali utilizzabili sia in costanza di rapporto sia a seguito della sua cessazione. In entrambi i casi la scelta del legislatore è stata di estendere l’ambito di applicazione di questi ammortizzatori in direzione universalistica, contenendo la durata degli ammortizzatori in costanza di rapporto di lavoro e riducendo il livello dell’indennità di disoccupazione. Questo orientamento di policy preannunciato già da tempo, ma non attuato, risponde all’obiettivo di riequilibrare il rapporto fra politiche passive e politiche attive, tradizionalmente sbilanciate in Italia a favore delle prime.
E’ questa – come ho già sostenuto6 – una delle novità di politica del lavoro potenzialmente più rilevante delle recenti riforme. Il suo rilievo sul sistema dipenderà dalla implementazione degli strumenti di politica attiva previsti dai decreti e dal funzionamento dei servizi pubblici e privati dell’impiego e in particolare dal nuovo contratto di ricollocazione.