Bruno Ugolini
Quel pezzo di sinistra italiana che si ritrova nei Ds ha forse chiarito meglio le proprie idee e i propri progetti sui temi più delicati relativi al lavoro, anche se non mancano ancora incertezze e non sono state del tutto superate diversità d’opinioni. La relazione e le conclusioni di Piero
Fassino al congresso di Pesaro, nonché numerosi interventi di rilievo, da Bruno Trentin a Sergio Cofferati, ad Enrico Morando, a Massimo D’Alema, per finire a Giuliano Amato, hanno contribuito a questo sbocco. C’è da
aggiungere che l’intera attività congressuale aveva fissato molta della propria attenzione proprio sul tema del lavoro, insieme con quello della pace e della guerra, anche per lo stimolo dato dalla scesa in campo di numerosi dirigenti della Cgil. Vediamo, in sintesi, quanto è emerso nelle posizioni della maggioranza.
Il valore del lavoro. Piero Fassino ha fatto leva, per illustrare la personale sensibilità su questi temi, sulla propria storia, sull’esperienza maturata a Torino proprio attorno alle problematiche di fabbrica. Ha spiegato come per lui il lavoro rimanga un metro per giudicare una società.
Lavoro inteso non solo come reddito, ma come progetto di vita. Inteso non solo come dipendenza, ma anche come autorealizzazione, da rappresentare, tutelare, garantire. Questa sinistra, insomma, non rinuncia alle proprie
radici.
Modernità e flessibilità. E’ stato uno dei perni del dibattito. Cofferati nel suo intervento aveva sostenuto che un vero riformista deve mettere al primo posto i diritti, non la modernità. Fassino ha insistito sulla necessità di trovare un equilibrio tra i due termini. La sinistra non deve
aver paura del cambiamento, deve saper guidare la modernizzazione. Essa è nata per affermare i diritti, ma senza mai prescindere dall’evoluzione sociale ed economica. Siamo di fronte ad un mutamento strutturale, non ad un complotto Una separazione tra i due termini porta ad una modernizzazione senza diritti. La flessibilità in questo modo diventa precarietà. Bisogna impedirlo. Sapendo però che molti giovani, ad esempio, rivendicano sì
tutele, ma apprezzano anche un lavoro più autonomo, dove meglio possono essere padroni del proprio tempo, con la possibilità di cambiare. Occorre, in definitiva, secondo Fassino, una strategia per liberare la flessibilità dalla precarietà, mettendo al primo posto la formazione. E’ stato citato, a questo proposito, il documento steso da Bruno Trentin, Luigi Berlinguer e Andrea Ranieri sul tema del sapere e della formazione.
I nuovi lavori. Il nuovo segretario dei Ds ha citato una serie di diritti irrinunciabili anche nella flessibilità come: la maternità per le donne; il reddito assicurato nei periodi di inattività tra un cambio di lavoro e l’altro; un percorso previdenziale che anche nel cambiamento del lavoro non si disperda; diritti di rappresentanza e di contrattazione. L’
obiettivo è quello di costruire un sistema complessivo di diritti e garanzie: è il nuovo statuto dei lavori.
Articolo 18. Quella dei Ds appare come un’idea di flessibilità del tutto diversa dalla cosiddetta “libertà di licenziare”. Da qui il rifiuto a rivedere l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che prevede il reintegro
in caso di licenziamento senza giusta causa. “Non dà un diritto in più a nessuno e lo toglie a chi lo ha” ha detto Fassino. Il problema è semmai come garantire persone oggi non tutelate, come costruire una rete di diritti.
Legge rappresentanza. Il neosegretario ha riconosciuto i limiti, denunciati da Cofferati, circa lo scarso impegno posto in atto dai Ds nella scorsa legislatura, nel sostenere una legge sulla rappresentanza. Tale limite è stato agevolato dal fatto che non c’era unità d’intenti tra le forze sindacali oltre che tra quelle politiche. Ora bisogna mirare a questa legge,
anche tenendo conto delle soluzioni ottenute nel pubblico impiego.
Unità sindacale. E’ stato posto l’accento sulla necessità di ricostruire l’unità tra i sindacati. Lo stesso sciopero dei metalmeccanici indetto dalla sola Fiom il 14 novembre e la manifestazione a Roma, con la partecipazione in prima persona dei principali dirigenti diessini, sono stati visti nell’ambito dell’esigenza di rinnovare un impegno unitario, sconfiggendo le manovre che puntano a divisioni.
Una conferenza nazionale. Le conclusioni di Fassino al congresso hanno annunciato una conferenza nazionale sul lavoro e il welfare, proprio per precisare meglio proposte e obiettivi. C’è da aggiungere che relazione, conclusioni, interventi del congresso di Pesaro, hanno rappresentato un
notevole passo avanti anche nel clima e nei toni del confronto tra “partito” e “sindacato”, passando dalle etichette del passato (conservatori-innovatori) a riflessioni più attente ai contenuti, in un reciproco costruttivo rispetto, attenzione e disponibilità a interloquire.
Il che non significa, certo, che i nodi siano sciolti, le differenze superate. Un dialogo maggiore potrà derivare dal fatto che sono entrati in un organismo dirigente, la direzione, molti dirigenti sindacali della Cgil, che avevano sostenuto sia la mozione Fassino sia la mozione capeggiata da Giovanni Berlinguer, sia alcuni dirigenti della Uil (mozione Fassino). Il fatto ha sollevato alcune osservazioni: ad esempio in un articolo apparso sulla Stampa, firmato da uno studioso come Giuseppe Berta, circa un superamento delle incompatibilità tra cariche sindacali e politiche, a dannodell’autonomia sindacale.