Si è svolto ieri, presso Villa Piccolomini a Roma, il primo di una serie di seminari dedicato alla crisi delle relazioni industriali, e più in generale delle rappresentanze sociali, che ha avuto per protagonisti alcuni esponenti della nuova generazione di rappresentanti del mondo imprenditoriale, sindacale e accademico.
Andrea Ciarini, sociologo del lavoro, ha dato conto dei fenomeni di “metamorfosi” generatisi in Italia negli ultimi anni, che hanno influito nei rapporti fra lavoratori e i loro rappresentanti. Non una vera e propria crisi, dunque, ma un cambiamento messo in atto dagli stessi attori sociali che, dando prova di “creatività e capacità di innovare, fuori e dentro le aziende”, hanno preso ad auto-rappresentarsi e a dialogare con i sindacati. Un esempio di tale capacità, “che testimonia la vitalità propria del territorio”, si rinviene all’interno del mondo del lavoro subordinato, para-subordinato e del terzo settore in generale e fa riferimento a quel modello sindacale di bilateralità che, di per sé, presuppone un dialogo tra le parti nel quadro di una serie di regole condivise e definite.
Riccardo Sanna, economista, ha proposto un’analisi della crisi delle relazioni industriali a partire dall’analisi del mercato del lavoro e della sua domanda effettiva. La caduta delle quote di lavoro nel periodo di crisi economica, ad esempio, può essere letta come sintomatica del “forte dualismo”, soprattutto tecnologico, caratterizzante il mondo delle imprese in Italia. “Analisi di questo tipo -ha spiegato Sanna- convergono sulla critica a un processo di accumulazione del capitale e sul fatto che qualsiasi sistema di redistribuzione del reddito primario non possa essere slegato dall’intervento pubblico”. “Le parti sociali –ha rilevato Sanna- sono chiamate a raccogliere una sfida politica sulle giuste riforme strutturali. Ci sono già buone pratiche di relazioni industriali, manca solo una capillarità delle istituzioni sindacali e territoriali e un meccanismo di equilibrio tra i vari livelli di rappresentanza”.
Marco Bentivogli, segretario generale Fim Cisl, ha aperto il suo intervento dalla constatazione che il periodo della concertazione si è ormai concluso, “e non c’è più modo di far risorgere quel modello”. Ora, quindi, secondo il segretario, è tempo di innovazione, di concepire nuove forme di investimento, non solo in termini produttivi, ma anche e soprattutto umani, e di reimmaginare nuovi elementi di rappresentanza. Riferendosi ai contratti nazionali, Bentivogli ha affermato: “Questo sarà l’anno della rinascita o della morte. Sono nove i nostri contratti in scadenza e con il difficile clima economico, determinato dalla caduta dell’inflazione, tutto sarà più complicato”. Senza troppi giri di parole, Bentivogli ha dunque criticato non solo l’inadeguatezza di Confindustria nell’innovare e semplificare il modello contrattuale, ma anche l’atteggiamento dei sindacati nei confronti del governo, oscillante fra “paternalismo e antagonismo”: “Se già il governo fa propaganda, il sindacato non può fare ideologia, perché questo è un gioco a perdere”, ha specificato il sindacalista. “Serve un nuovo terreno di incontro tra parti imprenditoriali e sindacali; un nuovo modello di collaborazione e codeterminazione”. “Sull’occupazione c’è da dire che nuove regole del mercato del lavoro da sole non servono a nulla –ha concluso Bentivogli-. Occorrono invece elementi di competitività e più investimenti privati, dato che abbiamo ancora troppo poco capitalismo e perché troppi imprenditori scelgono la via della rendita rinunciando a investire”.
Giampiero Iaia, in rappresentanza di Vodafone Italia, ha incentrato il suo intervento sull’importanza di perseguire relazioni industriali di qualità e che siano finalizzate alla condivisione con le parti sociali, non solo dei piani aziendali, ma anche di istituti innovativi, come quello dello “smart working”, metodologia dai comprovati risultati vincenti, sia in termini di produttività che di valorizzazione della forza lavoro. Iaia ha quindi rilevato come “si percepisca, a volte, nell’ambito delle relazioni industriali, un certo grado di litigiosità per partito preso, senza che vi siano reali motivi per una sua manifestazione”.
Salvatore Ugliarolo, segretario generale Uilcom, ha iniziato da una riflessione, generalizzata a tutto il mondo sindacale, sulla scarsa capacità nel rinnovarsi, “anche se –ha poi precisato- la prima responsabilità è quella politica: da un decennio a questa parte non c’è stata vera politica industriale e di sviluppo”. Ugliarolo ha quindi passato in rassegna le diverse cause che compartecipano alla crisi delle relazioni industriali, come il problema della burocrazia, della cattiva gestione del sistema giudiziario, e di “tutti quei fattori che disincentivano l’investimento dall’esterno”. Il modello delle relazioni industriali, secondo il sindacalista, deve basarsi su un sistema partecipativo e di dialogo fra parte imprenditoriale e sindacale, che porti a un confronto finalizzato a “studiare modelli per gestire i momenti di difficoltà”. “Provare a fare sistema, fare proposte costruttive per trovare la soluzione ai problemi reali”, queste le indicazioni del sindacalista che, riconoscendo la responsabilità, soprattutto di Confindustria, nei confronti dell’indebolimento delle relazioni industriali, ha infine affermato: “qualcosa va cambiato, ma occorre un atteggiamento costruttivo e propositivo da parte di tutti”.
Giulia Callegari, di Unindustria, ha posto l’accento sull’importanza di tutelare i giovani nel mercato del lavoro, ma anche, allo stesso tempo, le aziende che di quei giovani hanno bisogno. “Importante, in questo senso –ha affermato Callegari- è stata l’esperienza della staffetta generazionale, anche se abbiamo riscontrato non pochi problemi nella sua gestione”. “Il sistema del welfare pubblico è in crisi –ha aggiunto- ed è per questo che i lavoratori stessi chiedono un modello di welfare più partecipato e fondato su modelli di sostegno al reddito”. “In questo sistema di welfare partecipativo –ha concluso Callegari – il sindacato deve essere in grado non solo di chiedere, ma anche ascoltare e recepire le difficoltà aziendali”.
Andrea Cuccello, segretario generale Cisl Lazio, ha dato conto dell’impegno del sindacato per la costruzione di un tavolo regionale volto alla creazione di una risposta comunitaria e partecipata ai problemi della crisi, come l’aumento dal 6 al 13 % in quattro anni del tasso di disoccupazione regionale, o i costi della politica energetica, definiti “ormai fuori controllo”. “Su 50 siti di produzione energetica presenti nel Lazio, infatti, -ha informato Cuccello-, 24 sono prossimi alla chiusura, perché costa meno far arrivare energia dalla Francia che produrla in loco”. Passando poi al problema della rappresentanza, problema che “non riguarda solo i sindacati ma anche le imprese”, Cuccello ha posto l’accento su uno dei dati più sintomatici della decadenza della rappresentanza sociale: l’età media molto elevata degli iscritti ai sindacati. Una delle cause di questo problema, ha affermato il segretario, è sicuramente da ricondurre alla “scelta dei sindacati di concentrarsi più sui servizi che sull’azione nel e per il territorio”. Infine Cuccello ha fornito alcune proposte su come uscire dal problema dei rinnovi contrattuali: “L’unica soluzione, io credo, è puntare sulla bilateralità, in modo da mettere le imprese nella condizione di avere un continuo confronto nel e con il territorio, ricorrendo ad esempio ai contratti provinciali”. “L’altro importante strumento –ha concluso Cuccello- è quello del welfare integrativo, l’unico in grado di prendersi cura della persona”.
Alessandro Genovesi, segretario generale della Cgil Basilicata, ha affermato l’importanza, per il risanamento di giusti ed efficaci rapporti di rappresentanza, di stabilire prima qual è il sistema di idee che si vuole condividere: “Vogliamo che il processo economico-sociale porti verso la democrazia o verso l’autoritarismo? Siamo ancora nella possibilità di poter oggettivamente parlare e puntare alla piena occupazione, in Italia così come in Europa?”. Queste le domande principali rivolte agli astanti e sulle quali, secondo il segretario, dovrebbe basarsi il dibattito su come risanare la crisi delle relazioni industriali. Passando alla questione dei rinnovi contrattuali, Genovesi ha quindi affermato: “Non mi spaventerebbe parlare di un rinnovo del contratto a zero aumento salariale e a zero occupazione anche per uno o due anni. Mi andrebbe bene accettare tali condizioni purché, grazie a queste, si aprisse una riflessione seria sul come stabilizzare le condizioni già esistenti nel contratto”. Sempre rivolgendosi al contesto contrattuale europeo e alle sue ricadute su quello italiano, il sindacalista ha affermato che l’ipotesi di istituire un “salario legale minimo europeo, benché preceda la contrattazione sindacale, non sarebbe poi tanto male, perché agevolerebbe quell’internazionalizzazione necessaria a tante imprese”. “Ma allo stesso tempo –ha poi aggiunto- serve anche un contratto nazionale che svolga una funzione anti dumping a tutela soprattutto delle piccole e medie imprese”. Genovesi ha quindi concluso il suo intervento con una riflessione generale sulla politica e la rappresentanza: “Non è impossibile sognare un modello di contrattazione basato sull’occupazione, ma pretendo che la politica agisca, se non da protagonista, almeno da elemento facilitatore della ricostruzione di un patto sociale che possa far ripartire il dialogo fra le parti. La nostra crisi, del resto, è una crisi da eccesso di disuguaglianza che sta facendo scomparire il ceto medio. Non vorrei, però, che con esso scomparisse anche la democrazia”.
Fabrizio Sammarco, giuslavorista, ha dedicato il suo intervento a una riflessione su ciò che ha definito “un errore mitologico sul tema della rappresentanza”: la confusione fra modernizzazione e innovazione: “Modernizzazione significa ‘stare al passo con i tempi’, adattandosi ai nuovi paradigmi già a disposizione; mentre innovazione significa anticipare metodologie e tecniche non ancora esistenti”. La proposta del giuslavorista è stata poi quella di basarsi, per il risanamento delle rappresentanze sociali, sulla formula della velocità, ossia spazio fatto tempo. Il tempo è infatti una variabile importantissima della voce contrattuale della produttività. Sammarco ha spiegato che esistono nuovi modelli, come il ROI (Return On Investment), che prevedono il calcolo del ritorno dell’investimento non solo in termini puramente economici, ma anche di impatto sociale, ambientale e di tutti quegli indicatori la cui verifica non può essere compiuta nel breve, ma solo nel medio-lungo periodo. Quanto allo spazio, il giuslavorista ha affermato che occorre ricollocare l’azione dei sindacati non più sulle persone ma sulle idee: “A livello internazionale esiste già un modello di selezione dei lavoratori che non si basa sulla lettura dei curricula delle persone, ma su quello delle loro idee. E in questo modello il welfare integrato, ossia il passaggio del testimone da padre a figlio, si propone come valido strumento per generare occupazione”. Sammarco ha quindi concluso il suo intervento precisando su quali basi, secondo lui, andrebbero rinnovate le rappresentanze sociali: “Dato che sono i nuovi start upper i soggetti portatori di idee e modelli innovativi, il sindacato dovrebbe chiedersi come poterli rappresentare, partendo dal presupposto che gli start upper non sono precari, ma rappresentano un nuovo modello di lavoratori”. “Oggi le sfide maggiori della rappresentanza –ha concluso il giuslavorista- consistono nella capacità dei sindacati di intercettare, conoscere e inglobare le spinte innovative e della disintermediazione”.
Francesco Algieri, di Unindustria, ha iniziato dalla constatazione dell’evidente stato di crisi in cui versano le relazioni industriali, di fronte al quale, ha affermato, “bisogna rispondere senza utilizzare vecchi schemi. Ciascuna parte sociale deve ribadire il proprio ruolo, non quello delle etichette, ma quello derivante dal reale esercizio della rappresentanza sociale”. “Come Unindustria –ha proseguito Algieri- abbiamo cercato nuovi modelli di rappresentanza, facendo attenzione all’equa distribuzione dei sacrifici in modo da non disperdere valori e cultura”. Algieri ha poi fatto riferimento alle nuove forme di welfare integrativo, le sole in grado di risanare la crisi, concludendo il convegno con un richiamo al concetto di crisi delle relazioni industriali come crisi del modello democratico: “l’errore più grande è la rinuncia a partecipare alla vita sociale”.
Fabiana Palombo