Le sardine non chiedono, pretendono. Pretendono una classe politica che non sia in campagna elettorale permanente, che usi i canali istituzionali per comunicare e non i social, che bandisca ogni forma di violenza verbale – da equiparare alla violenza fisica – e che abroghi i decreti sicurezza. A un mese dal primo raduno di Bologna, le sardine sono chiamate alla prova di maturità. Dopo 112 piazze, l’ultima è quella San Giovanni a Roma. È la piazza storica della sinistra, dei sindacati, e ora anche della destra. Per gli organizzatori le sardine sono 100mila, per la questura 35mila.
Ma, al di là dei numeri, l’aspetto più significativo è che per le sardine, almeno nelle intenzioni, inizia ufficialmente la fase due. La più difficile, dove basta uno scivolone per compromettere tutto il lavoro. Le intenzioni per il nuovo anno ci sono tutte. Diffondersi nelle periferie e nelle zone distanti dai grandi centri urbani, uniformare la comunicazione, insomma darsi un’identità precisa, riconoscibile. La parola partito o movimento non rientra ancora nel loro vocabolario. Dicono di non essere interessati ai sondaggi, che avrebbero sicuramente un effetto distraente. Ma Mattia Santori vede come obiettivo un possibile 25% di apprezzamento tra gli italiani. Con questi propositi si è concluso il day after di Piazza San Giovanni degli organizzatori.
Uno dei timori più diffusi tra i molti che in questo mese sono scesi in piazza è che le sardine si brucino, che la spontaneità e la trasparenza, sempre rivendicate dagli organizzatori, vengano meno. Gli errori commessi dal Movimento 5 Stelle, anch’esso nato nelle piazze, sono ben presenti nella mente delle sardine. Qualora si creasse un sito, fanno sapere gli organizzatori, non seguirebbe di certo le orme di Rousseau. Le premesse tra i due esperimenti sembrano essere diverse. I pentastellati, cresciuti all’ombra dei Vaffa Day, hanno sempre rivendicato il loro essere guastatori nei confronti della politica. Un retaggio dal quale non riescono a liberarsi. Con il risultato di fare in campagna elettorale promesse roboanti, difficilmente mantenibili. Un bipolarismo e una schizofrenia politica che li porta, non appena prendono una decisione da maggioranza, a fare una contromossa da opposizione, come a volersi purificare dal peccato appena commesso.
Dunque le sardine sono avvisate. Tenere il piede in due staffe non è possibile. Certo andare nelle piazze, partecipare, è fare politica, ma è solo un modo di farla. C’è anche l’aula. A volte grigia e sorda, ma comunque il luogo dell’elezione nel quale si esercita e si attua la democrazia parlamentare. Se le sardine, un giorno, vorranno varcarla, dovranno cambiare il proprio rapporto con la piazza. Dovranno apprezzare il significato e il senso della parola compromesso, e dovranno dialogare con tutti, anche con la destra.
Anche la destra sovranista sembra essere affetta da una qualche sorta di schizofrenia. Salvini non perde occasione per attaccare gli euroburocrati, immemore di aver vivacchiato per lungo tempo a Bruxelles, avendo collezionato, da europarlamentare, primati poco invidiabili, come l’elevato tasso di assenteismo. E fanno sorridere anche gli strali lanciati contro la casta da persone che dentro alla casta ci vivono da decenni. La destra ha sempre denigrato le sardine. Unica detentrice della volontà popolare, ha sempre visto le piazze delle sardine come enormi burattini manovrati dalle élite di sinistra. L’unico popolo Docg è quello mobilitato dalla destra, tutto il resto è un surrogato, un fake, una brutta imitazione che rasenta il tradimento. C’è poi la mancanza di idee delle sardine, altro cavallo di battaglia dei detrattori. Se Lega e Fratelli d’Italia ambiscono a guidare il paese, devono essere loro a mettere sul piatto proposte credibili e non faziose. Le sardine, con tutti i loro limiti, non hanno di certo l’onere di dire come governare l’Italia. Non è questo, per ora, il loro compito. Una destra dunque che sembra stare con l’orecchio teso per captare qualche buona idea e riproporla in salsa sovranista, variando ai soliti slogan, anche se purtroppo molto efficaci visti i tempi, su immigrati, tasse e manette. C’è poi la destra di CasaPound che, consapevole di non poter mai riempire San Giovanni, si è accodata al trend topic #sardine per avere anche lei una fetta di visibilità, con il leader Di Stefano a magiare le sarde fritte nella piazza del duce.
C’è poi infine la sinistra che, di questi tempi, non sa proprio che pesci prendere. Frantumata in tanti atolli, più o meno piccoli, rischia di essere cancellata dal surriscaldamento climatico della politica nostrana. Una sinistra che ammicca, che getta l’amo nella piazza per vedere se è possibile ripescare qualcuno o qualcosa perso per strada. Le sardine si dicono pronte al dialogo, e per il momento la sinistra sorride, elogia la bellezza di questo movimento, rianimata da un senso di partecipazione che sembrava sopito. Ma c’è anche la sinistra del Partito Comunista di Marco Rizzo che, un po’ come la destra, accusa le sardine di essere manovrate da Monti, Prodi e le madamine di Torino. Il complottismo e la teoria del sospetto non risparmiano nessuno, ma sono un morbo bipartisan. Rizzo recrimina l’assenza di bandiere rosse in favore di quelle dell’Unione europea, non essendosi forse accorto che Bella ciao ha sempre risuonato in tutte le piazze delle sardine, e non accettando il fatto che i valori europei, benché continuamente bistrattati e messi alla berlina, sono oggi molto più unificanti e trasversali delle bandiere rosse.
Se dunque è vero che le battaglie si possono vincere nelle piazze, lo è altrettanto il fatto che la guerra si vince nelle urne.
Tommaso Nutarelli