In data 12 gennaio 2025 è entrata in vigore la legge n. 203/2024, pubblicata in Gazzetta ufficiale n. 303 del 28 dicembre 2024, recante “Disposizioni in materia di lavoro” (cd. Collegato lavoro). Si tratta di un apparato di norme che mira a porre ordine alla disciplina di vari istituti giuslavoristici, tra cui la somministrazione di lavoro, l’apprendistato, le tanto attese “dimissioni per fatti concludenti” e i dovuti chiarimenti in merito alla proporzionalità della durata del patto di prova nei contratti di lavoro a termine introdotta dal cd. Decreto trasparenza.
Andando per ordine, importanti modifiche vengono, in primo luogo, apportate al D.Lgs. 81/2015, cd. “Testo unico dei contratti di lavoro” in materia di somministrazione di lavoro.
In particolare, si abroga, a seguito di plurime proroghe, da ultimo al 30 giugno 2025, la disciplina transitoria per cui, in ipotesi di contratto di somministrazione a tempo determinato tra l’agenzia di somministrazione e l’utilizzatore, quest’ultimo può impiegare il lavoratore per missioni superiori a ventiquattro mesi (anche non continuativi) a condizione che l’agenzia di somministrazione abbia comunicato all’utilizzatore l’assunzione a tempo indeterminato, senza che ciò determini la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra la stessa agenzia e il lavoratore.
Vengono inoltre esclusi dal computo dei limiti quantitativi relativi alla somministrazione a tempo determinato (per cui il numero dei lavoratori assunti con contratto di somministrazione a tempo determinato non può eccedere complessivamente il trenta per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio dell’anno di stipulazione dei predetti contratti) i lavoratori ai sensi dell’art. 23, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2015 e i soggetti assunti dal somministratore con contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Quanto poi all’apposizione della causale al contratto di somministrazione a termine, si specifica che le condizioni di cui all’art. 19, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2015 – concernenti la durata massima del contratto di lavoro a termine – “non operano in caso di impiego di soggetti disoccupati che godono da almeno sei mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali e di lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati ai sensi dei numeri 4) e 99) dell’articolo 2 del regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione del 17 giugno 2014, come individuati con il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali previsto dall’articolo 31, comma 2, del presente decreto”.
Tra le delucidazioni fornite della norma in argomento si annovera l’art. 11 che – a definitiva risoluzione sul tema – fornisce l’interpretazione autentica della definizione di attività stagionali escluse dall’ambito di applicazione della disciplina del c.d. “stop and go”.
Rientrano, dunque, nelle attività stagionali, oltre a quelle indicate dal D.P.R. 7 ottobre 1963, n. 1525, le attività organizzate per fare fronte ad intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno, nonché ad esigenze tecnico-produttive o collegate ai cicli stagionali dei settori produttivi o dei mercati serviti dall’impresa, secondo quanto previsto dai contratti collettivi di lavoro.
Venendo alle modifiche concernenti la durata del periodo di prova nel contratto a termine, l’art. 13 del Collegato lavoro integra l’art. 7, comma 2, del D.Lgs. n. 104/2022 che aveva recentemente introdotto, dando spazio a non pochi dubbi interpretativi, la condizione di proporzionalità della durata del periodo di prova alla “alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego”.
La nuova regola illustra parametri chiari per cui, fatte salve le disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva, la durata del periodo di prova è stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro e in ogni caso la durata del periodo di prova non può essere inferiore a due giorni né superiore a quindici giorni, per i rapporti di lavoro aventi durata non superiore a sei mesi, e a trenta giorni, per quelli aventi durata superiore a sei mesi e inferiore a dodici mesi.
Non meno importante il chiarimento fornito dalla legge n. 203/2024 in merito allo smart working.
All’art. 14 troviamo infatti l’indicazione del termine per le comunicazioni obbligatorie in materia di lavoro agile, prima non espressamente indicato dalla l. n. 81/2017, e che ora viene fissato in cinque giorni dalla data di avvio dell’esecuzione della prestazione lavorativa in modalità agile oppure entro i cinque giorni successivi alla data in cui si verifica l’evento modificativo della durata o della cessazione del periodo di smart working.
Anche l’apprendistato viene toccato dall’intervento legislativo, introducendo, all’art. 43, comma 9, del D.Lgs. n. 81/2015 la possibilità, successivamente al conseguimento della qualifica o del diploma professionale ai sensi del D.Lgs. n. 226/2005 nonché del diploma di istruzione secondaria superiore o del certificato di specializzazione tecnica superiore, di trasformazione del contratto, previo aggiornamento del piano formativo individuale, in apprendistato professionalizzante, allo scopo di conseguire la qualificazione professionale ai fini contrattuali oppure in apprendistato di alta formazione e di ricerca e per la formazione professionale regionale.
Da ultimo, come anticipato, tra le più significative novità, vi è l’integrazione dell’art. 26 del D.Lgs. n. 151/2015 rubricato “Dimissioni volontarie e risoluzione consensuale”. Nello specifico, con l’introduzione di un comma 7-bis, viene disciplinata l’ipotesi in cui la protratta assenza ingiustificata del lavoratore determina la cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni (cd. “dimissioni di fatto” o “per fatti concludenti”). Perché si configuri tale previsione occorre che l’assenza ingiustificata superi il termine previsto dalla contrattazione collettiva di riferimento o, in mancanza di tale previsione, sia superiore a quindici giorni. È tuttavia concessa al lavoratore – con conseguente inapplicabilità della predetta disciplina – la facoltà di provare l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza.
Con tale previsione, in linea con le finalità di semplificazione perseguite del Collegato lavoro, si pone finalmente rimedio all’annosa prassi, determinata dalla carenza normativa, dell’abbandono del posto di lavoro da parte del lavoratore al solo scopo di indurre il recesso datoriale e, conseguentemente, beneficiare dell’indennità mensile di disoccupazione.
Gianvito Riccio e Marinela Peraj, CBA Studio legale e tributario