Enrico Giacinto
1. Una premessa
Qualche anno fa, in un rapporto sulle politiche dell’istruzione nel nostro paese (1), l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) si esprimeva nel seguente modo: ‘Abbiamo riscontrato che l’Italia ha un sistema di apprendistato solo rudimentale a confronto con quelli esistenti o in fase di sviluppo in molti altri paesi…’.
Se e fino a che punto questa valutazione conservi valore non è dato sapere. Sta di fatto che in sede di dibattito parlamentare sulla modifica della legge n. 196 del 1997, il 26 luglio 1999, il governo ha ammesso che per quanto riguarda la formazione in alternanza al lavoro, il nostro sistema formativo è arretrato (2).
Se poi dovessimo dar credito all’ultimo rapporto sulla situazione sociale del paese (3) dovremmo arguirne che la situazione non può essere granché migliorata.
Solo fino a qualche decennio or sono il dibattito fra le forze politiche e sociali pareva tutto concentrato sul dilemma se l’apprendistato dovesse continuare a sopravvivere o se dovesse essere sostituito da altri strumenti.
Apprendistato sì o apprendistato no? Se sì, in quali settori e/o per quali profili professionali? Come valorizzare l’aspetto formativo? Quanto deve durare? Con quale retribuzione e/o costo del lavoro? Con quali modalità di controllo nella gestione del rapporto? Con quale certificazione della qualifica? Le risposte a questi interrogativi erano molteplici. Si tendeva, però, a far prevalere un taglio di natura ideologica con giudizi sulla validità o meno dell’istituto a seconda degli interessi che si volevano tutelare. Da qui la contrapposizione, spesso netta, tra organizzazioni sindacali dei lavoratori ed organizzazioni dei datori di lavoro, ma anche tra forze politiche che tentavano di conservare o conquistare consensi soprattutto nel mondo della piccola e piccolissima impresa.
Anche oggi, per la verità, sulla valutazione dei fatti sembrano prevalere valutazioni di natura ideologica o propagandistica. E l’apprendistato si presta, per sua natura, più ad un confronto di natura politica che ad una valutazione di natura tecnica.
Chi scrive ha già avuto modo, in altra sede (4), di rappresentare la sua opinione sui processi che hanno caratterizzato l’istituto dell’apprendistato dopo la legge 24 giugno 1997, n. 196. Questo provvedimento, che è stato considerato una sorta di spartiacque tra il vecchio e quello nuovo, ha avuto ed ha – come vedremo – una gestione molto sofferta. Il che non ha impedito al legislatore di approvare ulteriori provvedimenti – di grande valore sociale e civile, questo va detto con chiarezza – che tuttavia renderanno ancora più travagliato questo percorso. Nel senso che la distanza tra dettato legislativo e sua concreta attuazione, anziché ridursi, tende a dilatarsi. Questo è l’effetto dell’articolo 68 della legge 17 maggio 1999 n. 144, che stabilisce l’obbligo di frequenza delle attività formative fino al compimento del diciottesimo anno di età. Secondo la legge tale obbligo può essere assolto, in percorsi anche integrati di istruzione e formazione, nel sistema di istruzione scolastica, nel sistema della formazione professionale e di competenza regionale de nell’apprendistato.
Questa legge, come anche quella del 1997, per gli aspetti relativi all’apprendistato è rimasta, se non lettera morta, ancora molto vicina al palo.
2. Apprendistato ed Unione europea
Negli ultimi anni l’Unione europea ha rivolto una particolare attenzione, nonché ingenti finanziamenti (soprattutto attraverso il Fondo sociale europeo), all’apprendistato.
Prime indicazioni sono contenute nel libro bianco della Commissione europea ‘Crescita, competitività, occupazione. Le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo’ .
Nel successivo libro bianco sull’istruzione e sulla formazione ‘Insegnare a apprendere. Verso la società conoscitiva’ – elaborato in occasione della proclamazione del 1996 come ‘Anno europeo dell’istruzione e della formazione durante tutto l’arco della vita’ – la Commissione europea sostiene che la scuola e l’impresa sono luoghi di acquisizione di conoscenze complementari che è necessario ravvicinare. Questo riavvicinamento deve coinvolgere pienamente le parti sociali e presuppone, secondo la Commissione, tre condizioni: l’apertura dell’istruzione sul mondo del lavoro; il coinvolgimento dell’impresa nello sforzo formativo non soltanto dei suoi dipendenti ma anche dei giovani e degli adulti; e, infine, come condizione che integra le due precedenti, lo sviluppo della cooperazione fra istituti d’istruzione e imprese.
Il rafforzamento dei legami fra istruzione e impresa richiede in primo luogo lo sviluppo dell’apprendistato che è un metodo di formazione adatto a tutti i livelli di qualificazione e non soltanto a quelli più bassi. Sempre secondo la Commissione, la promozione dell’apprendistato a livello europeo sarà un plusvalore sia per i giovani che per le imprese Tra le azioni proposte nel libro bianco, quelle riguardanti l’apprendistato si ponevano i seguenti obiettivi: sviluppare l’apprendistato in tutte le sue forme (alternanza, formazioni duali e così via) e a tutti i livelli in Europa facilitando la mobilità fra vari centri europei per periodi significativi; ripristinare tradizioni artigianali che permettono di compiere, in sede di formazione, esperienze professionali ed educative in ambienti culturali e d’impresa diversi; promuovere nuove forme tutorie che tengano conto della dimensione europea. A questi obiettivi si affiancano i seguenti metodi: costituzione e consolidamento di reti di centri di apprendistato fra vari paesi europei; promozione della mobilità degli apprendisti, sul modello di Erasmus; introduzione di uno statuto europeo dell’apprendista sulla falsariga del libro verde sugli ostacoli alla mobilità transnazionale delle persone in formazione.
Il Consiglio europeo di Firenze del 21-22 giugno 1996, nel sottolineare l’importanza dell’apprendistato per la creazione di posti di lavoro, chiese alla Commissione di svolgere uno studio sul tema.
Lo studio (5) è alla base della comunicazione della Commissione ‘Promuovere la formazione in apprendistato in Europa’ del 18 giugno 1997. Il documento della Commissione illustra le caratteristiche di una formazione in apprendistato di buona qualità che contribuisca a rendere più concrete le prospettive occupazionali dei giovani. La Commissione propone poi cinque azioni per rendere più efficace la formazione in apprendistato, al fine di sviluppare ulteriormente, nel rispetto del principio di sussidiarietà, una formazione in apprendistato di qualità in Europa ed elaborare orientamenti per azioni da intraprendere sia a livello nazionale che comunitario.
Negli ‘Orientamenti in materia di occupazione per il 1998’ e per il 1999 si chiede agli Stati membri di migliorare le prospettive occupazionali per i giovani, offrendo loro qualifiche rispondenti alle esigenze del mercato. In questo quadro, il Consiglio dell’Unione europea invita gli Stati, se necessario, a istituire sistemi di apprendistato o a svilupparli.
Il 21 dicembre 1998 lo stesso Consiglio adotta una decisione relativa alla promozione di percorsi europei di formazione integrata dal lavoro, ivi compreso l’apprendistato, istituendo un documento denominato ‘Europass-formazione’ destinato ad attestare, a livello comunitario, i periodi di formazione effettuati da una persona che segue una formazione integrata dal lavoro, compreso l’apprendistato, in uno Stato diverso da quello in cui ha luogo la formazione.
Il più recente documento dell’Unione europea che fa riferimento all’apprendistato è rappresentato dalla decisione del Consiglio del 19 gennaio 2001 relativa agli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione per il 2001. In tale documento si esortano gli Stati membri a migliorare la qualità dei propri sistemi di istruzione e di formazione e i relativi programmi, segnatamente fornendo gli orientamenti necessari nel contesto sia della formazione iniziale che dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita ‘ammodernando e rendendo più efficaci i sistemi di apprendistato e di formazione sul posto di lavoro’.
Attraverso il Cedefop, il Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale, l’Unione europea mette in rete – all’indirizzo Internet dello stesso Cedefop – numerosi materiali sull’apprendistato. In particolare nel sito sono riportati, continuamente aggiornati, i rapporti nazionali sull’apprendistato nei paesi dell’Unione europea.
Oltre ai lavori del Cedefop vale la pena segnalare il bel saggio di Marco Biagi e Michele Tiraboschi ‘La rilevanza della formazione in apprendistato in Europa: problemi e prospettive’, pubblicato sul n. 1/1999 della rivista ‘Diritto delle relazioni industriali’.
3. Dati del fenomeno
Nonostante il calo demografico che ha ridotto le coorti giovanili e nonostante l’aumento della scolarità e la concorrenza dei contratti di formazione lavoro, l’apprendistato ha conservato un ruolo di rilievo come canale di ingresso nel mondo del lavoro.
I dati disponibili sul fenomeno provengono da fonti diverse e inducono spesso ad interpretazioni non del tutto corrette.
La fonte storica più conosciuta è frutto delle rilevazioni annuali effettuate (alla data del 31 marzo fino al 1974 ed al 31 agosto per gli anni successivi) dal ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale sulla base delle richieste di assunzione e delle denuncie di cancellazione dei rapporti di apprendistato, presentate agli uffici del lavoro ai sensi della legge n. 25 del 19 gennaio 1955 istitutiva del rapporto di apprendistato. Quella che segue è la serie storica degli apprendisti occupati dal 1955 al 1999.
APPRENDISTI OCCUPATI DAL 1955 AL 1999
1955 172.918
1956 355.311
1957 466.372
1958 555.990
1959 627.504
1960 704.719
1961 771.535
1962 810.498
1963 767.643
1964 793.713
1965 770.884
1966 759.032
1967 781.893
1968 831.613
1969 741.979
1970 721.317
1971 684.578
1972 689.122
1973 692.989
1974 674.413
1975 668.022
1976 692.171
1977 678.510
1978 690.276
1979 732.100
1980 738.193
1981 711.688
1982 687.251
1983 599.183
1984 554.451
1985 547.023
1986 523.053
1987 543.193
1988 556.506
1989 551.444
1990 529.741
1991 523.767
1992 505.734
1993 449.765
1994 426.735
1995 425.094
1996 413.892
1997 393.138
1998 423.267
1999 437.757
Oltre a questa serie di dati che fotografano la situazione al 31 agosto di ogni anno, il ministero del Lavoro pubblica anche i dati relativi agli apprendisti avviati al lavoro mese per mese. Questo è il quadro delle rilevazioni relative agli ultimi anni:
APPRENDISTI AVVIATI AL LAVORO
1993 294.955
1994 227.906
1995 251.140
1996 253.287
1997 258.117
1998 376.094
1999 391.780
Possiamo stimare che gli apprendisti avviati al lavoro dal 19 luglio 1998 – data a partire dalla quale diventava obbligatoria la partecipazione alla formazione esterna all’azienda – ai primi mesi del 2001 siano stati circa un milione.
La differenza tra le due serie di dati sopra riportati offre un’idea, sia pure sommaria, della mobilità selvaggia che caratterizza questo particolare rapporto di lavoro.
Anche l’Inps e l’Istat offrono elaborazioni statistiche sulla diffusione del fenomeno.
Può essere utile, a questo punto, offrire qualche elemento di conoscenza sulla consistenza del fenomeno a livello europeo e dei paesi Ocse.
L’apprendistato rappresenta la forma più comune di formazione direttamente collegata al lavoro.
Da un’indagine Eurostat sulla situazione degli Stati membri dell’Unione europea e di Islanda, Norvegia e Svizzera (6) risulta che il numero di apprendisti nel periodo 1995-1996 era stimato in due milioni e mezzo di unità, pari al 20% di tutti coloro che erano impegnati in corsi di formazione professionale. Questa percentuale raggiungeva le punte massime in Danimarca (86,7%) e Germania (65,7%).
Secondo un rapporto dell’Ocse (7) la quota di giovani con età di 18 anni impegnati in apprendistato sono passati dall’8,6% del 1984 all’8,9% del 1997. In Germania si è passati dal 35,3% del 1984 al 40,9% del 1996. Secondo la stessa fonte, in Italia si è scesi dallo 0,4% del 1984 allo 0,1% del 1997.
4. Quanto costa un apprendista?
Un apprendista costa poco. Non tanto e non solo perché riceve un salario inferiore a quello di un lavoratore qualificato. Quanto soprattutto perché l’azienda paga, a differenza di quanto avviene per la generalità dei lavoratori, una contribuzione fissa settimanale che per il 2001 è stata determinata nelle seguenti misure: lire 5.190 settimanali, compreso il contributo Inail; lire 5.010 settimanali senza il contributo Inail. Per le aziende artigiane il contributo fisso è di lire 32 (trentadue) a settimana.
In una recente pubblicazione (La struttura del costo del lavoro e delle retribuzioni nella seconda metà degli anni ’90), l’Istat mette in evidenza come le sole retribuzioni medie dei singoli dipendenti (esclusi gli apprendisti) sono pari a più del doppio dell’intero costo del lavoro sostenuto per gli apprendisti. ‘Questo ampio differenziale – scrive l’Istat – che deriva evidentemente dalle normative in vigore, spiega in gran parte le scelte occupazionali delle imprese, le quali ricorrono soprattutto all’apprendistato come modalità privilegiata per l’ingresso in azienda’.
Non è del resto senza significato che Tito Boeri, in un articolo su ‘Il sole 24 ore’ del 2 gennaio 2001, riconosca che oggi è ‘più ampia la gamma di figure contrattuali e agevolazioni che permettono sconti sul costo del lavoro di chi compie i primi passi nel mondo del lavoro’ e che ‘i Governi che si sono succeduti nell’ultima legislatura hanno rimosso alcuni degli ostacoli che ostruivano i canali di accesso al mercato del lavoro, riducendo, di fatto, i salari minimi ai quali oggi si può fare l’ingresso nel mondo del lavoro’.
L’utilizzazione di apprendisti, oltre che dalla legge del 1997 è incentivata anche dalla contrattazione collettiva, che dà spazio, l’ultimo esempio è quello delle poste, ad un istituto – l’apprendistato, appunto – che non era previsto nella precedente normativa. Anche nel recente contratto degli autoferrotranvieri viene regolato, tra le tipologie di rapporti di lavoro flessibili, l’apprendistato, abrogando una striminzita norma, scarsamente applicata, che risaliva al lontano 1976.
5. La legge e la realtà
L’articolo 16 della legge 24 giugno 1997 n. 196 ‘Norme in materia di promozione dell’occupazione’ rappresenta lo spartiacque tra l’apprendistato che non c’è più e quello che non c’è ancora, ovvero tra il passato che non passa e il futuro che non arriva.
Il nuovo apprendistato è caratterizzato, rispetto a quello vecchio:
– da un innalzamento dei limiti di età. Si passa dalla fascia 15-20 anni alla fascia 16-24 (elevabili a 26 nelle aree di cui agli obiettivi n. 1 e 2 del regolamento Cee n. 208/93 e a 28 , sempre nelle stesse aree, per i portatori di handicap). Resta invariata la possibilità, nell’artigianato, di elevare l’età massima a 29 anni;
– da nuovi limiti di durata, in particolare dall’introduzione di un limite di durata minima (18 mesi);
– dalla formazione esterna all’azienda la cui partecipazione, da parte degli apprendisti, è conditio sine qua non per la concessione delle agevolazioni contributive. La legge prevede un minimo annuo di 120 ore, modificabile in meglio attraverso la contrattazione collettiva.
La legge prevede poi altre novità, quali: l’irrilevanza del titolo di studio ai fini della possibilità di stipulare un contratto di apprendistato; la concessione, in via sperimentale, di agevolazioni contributive per i lavoratori impegnati come tutori nelle iniziative formative esterne all’azienda.
Per l’attuazione della nuova disciplina erano previste anche una serie di deleghe: per l’individuazione dei contenuti formativi delle iniziative di formazione; per la fissazione dei requisiti per poter svolgere la funzione di tutore; per pervenire ad una disciplina organica dei rapporti formativi e per dettare controlli sull’effettività dell’addestramento e sul reale rapporto tra attività lavorativa ed attività formativa.
Alcuni di questi provvedimenti, sia pure con enormi ritardi rispetto ai tempi indicati nella legge, sono stati approvati. Altri, invece, dopo quasi quattro anni dall’approvazione della legge, sono ancora allo studio.
Per quanto riguarda la formazione esterna la legge prevedeva che, per gli apprendisti assunti dopo un anno dall’entrata in vigore della legge, cioè dal 19 luglio 1998, i datori di lavoro potessero beneficiare delle agevolazioni contributive solo a condizione che i giovani partecipassero alle attività di formazione esterna all’azienda. Tale norma, che è stata considerata come la più innovativa e qualificante il nuovo apprendistato, è rimasta di fatto sulla carta.
In un primo momento, con una circolare datata 16 luglio 1998, il ministero del Lavoro, pur confermando che le iniziative di formazione esterna all’azienda ‘saranno rivolte a tutti i lavoratori assunti in qualità di apprendisti a partire dal 19 luglio 1998’, ha precisato che ‘le iniziative relative al primo anno potranno essere programmate e attuate entro 12 mesi dall’assunzione’. Quando poi ci si rese conto che il sistema formativo non sarebbe stato in grado (o non era stato messo in grado) di mettere in atto le iniziative formative, il governo, nel luglio 1999, decise di modificare la legge con un decreto. Solo la Cisl, tra le organizzazioni sindacali, espresse un netto dissenso sul provvedimento. Il segretario confederale Raffaele Bonanni dichiarò che ‘il decreto del ministro del Lavoro, Cesare Salvi, corrisponde ad un vero e proprio colpo di mano’. Per la Cisl, secondo Bonanni, la formazione degli apprendisti è una priorità politica e sociale che va promossa ed estesa a tutti i giovani che entrano nel mondo del lavoro: ‘è la vera condizione che legittima l’accesso delle imprese ai vantaggi contributivi’ (8).
Nel dibattito parlamentare sulla conversione in legge del decreto non mancò, tra i parlamentari, chi affermò che con il provvedimento si intendesse concedere una proroga con riferimento ad una riforma già fallita sul nascere, perché le strutture esterne per i corsi ‘non sono ancora sorte e sicuramente entro la fine dell’anno non saranno ancora funzionanti’ (9).
Poiché, contrariamente a quanto disposto dalla legge, non è ancora stato definito un sistema di controlli sulla effettività dell’addestramento e sul reale rapporto tra attività lavorativa e attività formativa, con la previsione di specifiche sanzioni amministrative nel caso in cui le condizioni previste dalla legge non siano state assicurate, la formazione esterna è appannaggio di un ristretto numero di apprendisti (poche decine di migliaia di unità) impegnati, come vedremo, in una sperimentazione che rischia di rimanere tale per un numero molto elevato di anni.
6. Uno sguardo su alcune ricerche e sperimentazioni
Prima dell’entrata in vigore della legge n. 196 del 1997 e prima dell’avvio delle sperimentazioni ancora in corso con alterne fortune, nel nostro paese erano state attivate alcune esperienze formative per gli apprendisti. Una breve rassegna di queste esperienze è riportata nella ricerca (10) condotta, per conto della Regione Lombardia, dall’Irer (Istituto regionale di ricerca della Lombardia). Gli autori dello studio distinguono tra: iniziative formative che continuano, cioè esperienze che hanno raggiunto un carattere di continuità e che hanno consolidato un proprio progetto formativo (Trento e Bolzano); iniziative formative che mutano (Valle d’Aosta); iniziative formative concluse, che sono cioè state attuate a livello sperimentale ma che non sono diventate sistematiche (Veneto, progetto Ecipar di Ferrara, progetto Artigianform in sei regioni del Mezzogiorno); tentativi di approcci innovativi al problema che non sono giunti a soluzioni concrete ( Piemonte, Umbria, Toscana, Lombardia); progetto di formazione a distanza che, pur mantenendo una connotazione di sperimentazione episodica, è stato caratterizzato da una metodologia innovativa con uso dello strumento multimediale interattivo (Ecipa).
Dallo studio – che è stato realizzato con il contributo di alcuni tra i maggiori studiosi di apprendistato – sono emerse indicazioni di grande interesse. Ne ricordiamo alcune: destinare parte delle strutture e delle risorse regionali alla formazione degli apprendisti; prestare costante attenzione alla specificità della progettazione formativa per gli apprendisti; creare reali situazioni di concertazione tra le parti sociali; pensare ad un reale recupero dei crediti formativi, ovunque questi vengano acquisiti, nella valorizzazione di ogni esperienza formativa e di ogni singolo percorso professionale; coinvolgere esperti di diversa provenienza e tentare di valorizzare quanto di positivo è emerso da situazioni particolari.
Tra le numerose ricerche condotte con il finanziamento del ministero del Lavoro, meritano una segnalazione quella dello Sudio Méta & associati di Bologna e quella del Cesos (11). La ricerca dello studio Méta (12) offre, nella parte conclusiva, una sorta di manuale di istruzioni per i soggetti coinvolti nella promozione e realizzazione di interventi formativi in alternanza.
Le ricerche condotte sull’apprendistato sono state numerose anche negli anni Ottanta. Tra quelle non pubblicate giova ricordare quella del 1984 della Fondazione Brodolini intitolata ‘Learning by earning e offerta di lavoro giovanile. Come favorire la creazione di domanda di lavoro giovanile estendendo e rinnovando giuridicamente la formula dell’apprendistato’.
Un dato sul quale si è forse poco riflettuto accomuna le esperienze formative condotte prima della legge del 1997: eccezion fatta per la provincia di Bolzano e, in parte, per quella di Trento, nessuna si è tradotta in un sistema consolidato di formazione per gli apprendisti. Quasi a voler significare una sorta di specificità del nostro paese su un terreno in cui altre esperienze europee hanno ottenuto risultati per noi irraggiungibili.
Di grande utilità per aiutare a comprendere il perché di questa situazione è una ricerca condotta dall’Istituto di ricerca economica (IRE) per conto della Camera di commercio di Bolzano (13). Lo studio mette in evidenza la scarsa considerazioni in cui è tenuto, da parte dei giovani di lingua italiana, l’apprendistato. Gli atteggiamenti dei giovani altoatesini di lingua tedesca sono invece simili a quelli dei giovani tirolesi.
Poco conosciuta ma di notevole interesse è la ricerca condotta dall’Istituto per il Lavoro (14) per conto dell’Eber, l’Ente bilaterale regionale dell’Emilia Romagna.
Lo studio era finalizzato ad inquadrare il concetto di apprendistato, il suo ruolo rispetto al processo di trasmissione delle conoscenze e ad individuare meccanismi in grado di consentire una diffusione e un più efficace utilizzo dello strumento. Si tratta di un’analisi dell’istituto dell’apprendistato sotto varie angolazioni, a partire da quelle che lo considerano o come strumento per l’accesso al mercato del lavoro dei giovani in forma poco onerosa per le imprese, o come strumento per gestire i processi di trasmissione della conoscenza, in modo particolare nelle piccole imprese e nell’artigianato dove il sapere è complesso e non formalizzato. Particolare significato assume, nella ricerca, la parte relativa a quella che viene definita l’analisi sul campo. Si tratta, da un lato, di valutazioni espresse dai coordinatori di corsi di formazione predisposti nell’ambito dell’esperienza ‘Parsifal’. Dall’altro, di interviste ad artigiani ed apprendisti. Ne viene fuori uno spaccato, crudo e nello stesso tempo lucido, di come apprendisti, tutor ed imprenditori – a seconda del tipo di imprese cui appartengono – considerano la formazione professionale. Una delle conclusioni dello studio è che l’apprendistato può svolgere un ruolo di riproduzione dinamico delle conoscenze critiche solo se viene interpretato in un’ottica di investimento. Un investimento in cui sono impegnati, con modalità, coinvolgimento e interessi diversi, le imprese, gli apprendisti, le comunità locali nelle quali si strutturano i sistemi produttivi.
7. Gli studi e le riflessioni
La nuova disciplina dell’apprendistato ha sviluppato un’intensa attività di studio e di riflessione a tutti i livelli. Convegni e seminari di studio si sono moltiplicati non si sa con quali esiti. Alcuni di essi, tuttavia, hanno consentito di effettuare approfondimenti che sarebbero stati di grandi utilità per avviare o valutare le sperimentazioni sul versante della formazione esterna. Quasi a recuperare un primato (ricordate le 150 ore della seconda metà degli anni Settanta?) ormai perduto, le riflessioni e le azioni più interessanti sono state sviluppate dai sindacati confederali dei metalmeccanici, Fim, Fiom e Uilm, e dalle controparti datoriali, Federmeccanica ed Assistal, firmatarie di un contratto nazionale per la disciplina dell’apprendistato nell’industria metalmeccanica e nella installazione di impianti. Queste cinque organizzazioni sindacali hanno promosso, il 26 giugno 1997, cioè due giorni dopo l’approvazione della legge n. 196, un convegno sul tema ‘Apprendistato: un’opportunità per l’occupazione e l’industria. Le condizioni per il rilancio’ in cui si è praticamente dato il via all’organizzazione delle prime esperienza di formazione esterna per gli apprendisti. Le stesse organizzazioni il 30 novembre 1999 hanno presentato i risultati della prima annualità di sperimentazione.
Un altro convegno che ha presentato e prodotto materiali di grande valore è quello svoltosi dal 10 al 12 maggio 2000 sul tema ‘Il nuovo apprendistato: dalla sperimentazione alla costruzione del sistema’. Il convegno è stato organizzato dall’Isfol che è l’Istituto titolare dell’attività di assistenza tecnica ai sei progetti sperimentali avviati.
L’ultimo (in ordine di tempo) convegno di forte spessore politico e culturale è stato promosso, il 25 gennaio 2001, dalla Federazione formazione e ricerca della Cgil sul tema ‘L’obbligo formativo e l’apprendistato nel quadro della riforma dei cicli scolastici e del rinnovamento dei sistemi formativi regionali’. Oltre a presentare materiale aggiornato sull’andamento della formazione nell’apprendistato, il convegno – cui hanno preso parte, tra gli altri, i ministri del Lavoro e della Pubblica istruzione, Salvi e De Mauro – ha offerto una serie di analisi e di proposte largamente condivisibili. Anche se non mancano, nel documento preparatorio per il convegno, che è consultabile in Internet sul sito della Federazione, ipotesi dal sapore un po’ giacobino.
Una menzione merita anche il convegno ‘Apprendistato: dal corso al percorso. L’apprendistato nell’industria metalmeccanica milanese’, organizzato il 12 marzo a Milano presso la sede dell’Assolombarda.
8. L’apprendistato nel Rapporto di monitoraggio sulle politiche occupazionali e del lavoro
Il ‘Rapporto di monitoraggio sulle politiche occupazionali e del lavoro’, che è arrivato alla sua seconda edizione, contiene non poche indicazioni sull’apprendistato, a partire dai dati relativi ai giovani avviati al lavoro con questo tipo di rapporto.
I giovani avviati sarebbero stati: 233.280 nel 1996, 258.144 nel 1997, 375.988 nel 1998 e 383.674 nel 1999 (come si può osservare queste cifre, di fonte Inps, non corrispondono con quelle riportate nella parte iniziale di questo saggio, a dimostrazione che sulla chiarezza ed attendibilità dei dati i passi da fare sono ancora molti). Alla crescita dei contratti di apprendistato corrisponde una diminuzione di quelli di formazione lavoro.
In un box sull’esperienza del Veneto è messa in evidenza la durata breve dei rapporti di apprendistato, in particolare di quelli avviati nei mesi di giugno e luglio. La quota di assunzioni di durata uguale o inferiore a tre mesi raggiunge il 50% nelle imprese di 1-2 addetti e supera il 65% nel settore turistico. Il fenomeno non dipenderebbe esclusivamente dalle esigenze connesse alla stagionalità della produzione o a punte di lavoro, quanto dall’incontro tra disponibilità degli individui nei periodi di inattività scolastica e vantaggi contributivi per le imprese.
Per questi rapporti non hanno senso gli indirizzi sanciti nella riforma dell’apprendistato. Gli studenti assunti come apprendisti nei mesi estivi non hanno infatti bisogno di frequentare corsi formativi extra aziendali, in quanto un loro cursus formativo lo stanno già proseguendo nella scuola.
La breve durata dei rapporti ha comportato che, molto spesso, nel periodo intercorrente tra selezione dei nominativi e avvio effettivo dei corsi gli utenti potenziali si erano dileguati.
La principale difficoltà dei corsi è rappresentata dalla eterogeneità dei livelli formativi di base e dei bisogni formativi evidenziati da imprese e lavoratori. Si va da autentici drop-out, che hanno abbandonato la scuola e necessiterebbero di un rafforzamento delle conoscenze di base, a soggetti con un discreto livello culturale, che invece possono richiedere contenuti formativi integrativi e molto specifici.
Il mancato gettito contributivo per gli apprendisti sarebbe ammontato, per il 1998, a poco meno di duemila miliardi di lire per 341.073 apprendisti e, per il 1999, a oltre 2.745 miliardi per 412.595 apprendisti. Nel 2000 il mancato gettito avrebbe superato 2.569 miliardi. Queste cifre aumentano ogni anno di oltre 400 miliardi se si considera anche il mancato gettito per la trasformazione a tempo indeterminato dei contratti di apprendistato. Come è noto, in questi casi i benefici contributivi sono prorogati per un anno.
Dati e considerazioni di grande utilità sono contenuti nel Primo rapporto sullo stato di realizzazione dell’offerta di formazione esterna per gli apprendisti realizzato dall’Isfol e pubblicato nel volume ‘Il nuovo apprendistato: rapporto 1999’. Il limite di questo rapporto sta nel troppo tempo intercorso (circa un anno) tra la sua predisposizione e la sua pubblicazione, a differenza di quanto si verifica per il rapporto di monitoraggio sulle politiche occupazionali e del lavoro che è consultabile, in tempo reale, sul sito Internet del ministero del Lavoro.
9. La formazione è il punto debole
Nonostante le ingenti risorse, nazionali e comunitarie, destinate alle attività formative per l’apprendistato (15), è proprio sulla formazione che si appuntano le maggiori critiche sulla gestione della nuova normativa. Per quanto, come abbiamo già visto, la legge prevedesse che tutti gli apprendisti assunti a partire dal 19 luglio 1998 dovevano partecipare alle attività formative esterne all’azienda, pena la perdita, per i datori di lavoro, delle agevolazioni contributive, possiamo stimare che poco più del 5% dei giovani avviati al lavoro dopo quella data siano stati coinvolti nelle iniziative di formazione.
Da circa tre anni è in corso una sperimentazione che, con ingenti e non del tutto utilizzate risorse (è tra l’altro previsto il rimborso del salario lordo all’azienda per ogni ora di formazione dell’apprendista), ha coinvolto – secondo il nono rapporto di monitoraggio dell’Isfol del gennaio 2001 – meno di 20.000 apprendisti. Sempre secondo l’Isfol, gli apprendisti coinvolti nelle diverse iniziative formative al 31 dicembre 2000 sarebbero poco più di 62.000, pari (le stime che seguono sono nostre) al 6% degli apprendisti avviati al lavoro dopo il 19 luglio 1998 ed al 14% circa degli apprendisti in forza alle aziende nel 2000. Di questo passo è ragionevole supporre che non sarà possibile mettere a regime l’esperienza prima del 2010, quando cioè, verosimilmente, si porrà mano ad una profonda revisione della legge, vista la sua debolezza ed impraticabilità. A quella data le circolari del ministero del Lavoro e dell’Inps, i decreti del ministero del Lavoro e gli aggiustamenti legislativi come quelli realizzati nel luglio-agosto 1999, avranno reso talmente intricata e inintellegibile la normativa, da richiedere un colpo di spugna per poter ricominciare tutto da capo.
Le maggiori difficoltà che hanno determinato il mancato o ritardato avvio delle iniziative formative sono da addebitarsi all’assenza di banche dati aggiornate e attendibili. Non sono stati sufficienti, a colmare il vuoto, né una circolare Inps dell’8 gennaio 1999 in cui si faceva carico agli uffici provinciali e zonali dell’istituto di trasmettere ogni mese al ministero del Lavoro ed agli assessorati regionali dati analitici su ogni apprendista assunto, né un decreto ministeriale del 7 ottobre dello stesso anno che, nella sostanza, imponeva un pari obbligo alle imprese.
Per quanto riguarda la qualità della formazione, le informazioni disponibili non sono molte e, in ogni caso, appaiono controverse. In una comunicazione ad un seminario del Cnel del 15 luglio 1999 sul tema ‘I lavori a professionalità bloccata: le risposte dell’apprendistato e della formazione individuale’, Vittorio Capecchi ha riferito episodi non certo esaltanti relativi alla sperimentazione dell’apprendistato per le imprese artigiane dell’Emilia Romagna.
Che la formazione sia il punto debole di tutta l’impalcatura del nuovo apprendistato è confermato dallo stato di attuazione dell’obbligo formativo. Anche qui, almeno per quanto riguarda l’apprendistato (per il quale è prevista la frequenza di moduli di formazione di 120 ore aggiuntivi a quelli già previsti dall’articolo 16 della legge 196/97), ma non solo quello per la verità, è tutto fermo al palo, o quasi. Non si quanti, degli oltre 83.000 quindicenni che nel 2000 hanno abbandonato la scuola, stiano frequentando o abbiano frequentato i corsi di formazione o di apprendistato come prescrive le legge n. 144 del 1999.
Tutto appare come se l’obbligo di frequenza di attività formative fino al diciottesimo anno di età a partire dall’anno scolastico 1999-2000 sia rimasto, con le dovute e ridottissime eccezioni, sulla carta.
Un quadro della situazione è descritto sia in un documento dell’Isfol (Ricognizione sullo stato di attuazione dell’obbligo formativo. III aggiornamento. Stato di avanzamento al 31 dicembre 2000) che in un’inchiesta del Sole 24 Ore Scuola, pubblicata sul quotidiano della Confindustria il 29 gennaio 2001.
Con la circolare n. 77 del 9 novembre 2000, il ministero del Lavoro ha dato disposizioni per l’attuazione dei moduli aggiuntivi di formazione esterna per i giovani che assolvono l’obbligo formativo nell’apprendistato. La circolare, che interessa solo le realtà di Trento e Bolzano, consente alle due province autonome di portare avanti le loro esperienze formative senza dover subire ritardi o bloccarsi a causa della lentezza con cui il governo approva i provvedimenti di sua competenza.
Nel novembre dello scorso anno l’Isfol ha predisposto un prezioso manuale operativo per i Servizi per l’impiego per quanto riguarda la loro attività relativa all’obbligo formativo. Se e quando i Servizi per l’impiego – che, come precisa il manuale, ‘costituiscono il punto di snodo fra i percorsi dell’istruzione, della formazione professionale e dell’apprendistato e rappresentano l’elemento di promozione e garanzia del successo formativo’- cominceranno a funzionare a regime, solo allora si potrà dare attuazione all’obbligo formativo.
10. La rimozione delle esperienze passate
Chi ignora la storia è condannato a riviverla. Può essere questa la conclusione della cavalcata sin qui condotta lungo le frontiere dell’apprendistato.
Tutte le esperienze sinora maturate, con i successivi aggiustamenti, più che il frutto – come sostengono gli ottimisti – di una sorta di interattività normativa con la sperimentazione, sembrano fortemente condizionate da una sorta di rimozione collettiva dell’esperienza dei famigerati corsi complementari per apprendisti. Che a ben vedere, alla luce di quanto successo in questi ultimi anni, tanto famigerati non dovrebbero essere considerati.
Dar vita, dopo un vuoto di circa trent’anni, ad un’esperienza formativa di massa per gli apprendisti è stata ed è impresa ardua.
L’impressione di chi scrive, sulla base di quanto visto e studiato, è che non sia stata tenuta nella dovuta considerazione l’esperienza dei corsi complementari. E che non siano state valorizzate, nella nuova impresa, proposte ed elaborazioni che, appartenendo alla cultura della passata generazione, sono state praticamente ignorate. Ci si riferisce, solo per fare un esempio, a due saggi, pubblicati nel 1974 (16) e nel 1977 (17) a firma Giovanni Abete, che diedero vita, nella seconda metà degli anni Settanta, ad una sperimentazione conosciuta come ‘Mezzogiorno/Fondo sociale europeo’. Ancor oggi, nella loro impostazione, le proposte di Abete avrebbero potuto risolvere alcuni problemi sorti nella sperimentazione in corso per l’apprendistato, in particolare per quanto riguarda le difficoltà relative all’accorpamento delle diverse figure professionali in gruppi omogenei ai fini formativi.
I continui provvedimenti, legislativi ed amministrativi, che hanno costellato il percorso di attuazione della nuova normativa sull’apprendistato, sono stati la logica conseguenza di una legge che aveva scarse possibilità di essere applicata. Ma anche della non adeguata considerazione delle difficoltà che i corsi complementari per apprendisti avevano incontrato fino alla loro sospensione nella prima metà degli anni Settanta.
Infine, una considerazione particolare. In tutte le elaborazioni di questi ultimi anni è quasi assente, o ridotta al margine, una riflessione sugli insegnanti dei corsi. Si dà, è vero, grande spazio ai tutor, ma la massa di docenti sembra ignorata.
Operare nei corsi per apprendisti richiede professionalità e sensibilità non comuni che meritano riconoscimenti anche di carattere salariale.
Che l’apprendistato, secondo quanto prevede la legge, sia destinato ad assumere pari dignità con la scuola e la formazione come mezzo di assolvimento dell’obbligo di frequenza ad attività formativa fino al compimento dei 18 anni, appare una chimera. Non solo per la scarsa considerazione che questo istituto continua a mantenere nell’immaginario individuale e collettivo, ma anche e soprattutto per il modo in cui sono trattati i docenti che dovrebbero operare nel sistema. Figli di un Dio minore, con stipendi non certo paragonabili con quelli delle scuole elementari e medie, sono da anni in attesa del rinnovo di un contratto che è in balìa di non si sa quali venti ed eventi.
Infine, un’ultima notazione. Non sarebbe male riflettere sull’opportunità di affidare il monitoraggio sull’apprendistato ad una struttura diversa dall’Isfol, che ha un ruolo di primo piano nell’assistenza tecnica ai progetti sperimentali e che quindi mal si concilia con quella terzietà e indipendenza che un’attività del genere presuppone. Se fossi il ministro del Lavoro affiderei questo compito al Censis, in particolare a Giuseppe De Rita, che dell’apprendistato è stato ed è uno dei più apprezzati studiosi ed estimatori.
Dimenticavo una cosa: nel rapporto Ocse sull’Italia citato in apertura di questa nota si legge che ‘pochi altri paesi hanno tentato di produrre cambiamenti di così vasta portata e tali da non lasciarne esente alcun livello di istruzione. Questo fatto ha i suoi punti forti e i punti deboli’. E sapete qual è il punto debole? E’ che :’la gestione del cambiamento su così vasta scala potrebbe rivelarsi tanto impegnativa da rendere impossibile l’attuazione di tutti i cambiamenti attesi. Una cosa, infatti, è l’emanazione di una legge, e un’altra, del tutto diversa, assicurare che la legge venga effettivamente applicata in un paese così grande, diversificato e individualistico qual è l’Italia’.
NOTE
1) Ocse, Esami delle politiche nazionali dell’istruzione: Italia, Roma, Armando, 1998
2) Camera dei deputati, Resoconto stenografico dell’assemblea, seduta n. 576 del 26 luglio 1999, p. 11
3) Censis, 34° Rapporto sulla situazione sociale del paese 2000, Roma, Franco Angeli, 2000
4) Giacinto E., Apprendistato all’italiana, in ‘Formazione domani’ n. 31-32, gennaio-giugno 1998, pp. 43-46
5) Nei (Neterland economic institute), The role of apprenticeship in enhancing employability and job creation: the significance of apprenticeship training for the labour market, Rotterdam, aprile 1997
6) Giovani: più lavoro con formazione e apprendistato, in ‘Euronote’ n. 9, luglio 2000
7) Ocse, Preparing youth for the 21st century: the transition from education to the labour market, Parigi, 1999
8) Le posizioni espresse dalla Cisl sulla vicenda del decreto legge sono riportate sul quotidiano ‘Conquiste del lavoro’, in particolare del 9, 10 e 11 luglio 1999. Sullo stesso quotidiano, il 15 luglio il segretario confederale Raffaele Bonanni ricostruisce il percorso compiuto relativamente alla mancata attuazione della legge sull’apprendistato ed avanza proposte per rendere chiaro e verificabile l’impegno per l’attuazione della stessa legge.
9) Camera dei deputati, Resoconto stenografico dell’Assemblea, seduta n. 576 del 26 luglio 1999, pag. 54
10) Irer, Studio sulle condizioni per avviare una sperimentazione nel settore artigiano per la formazione professionale di giovani nell’ambito della bottega-scuola e dell’apprendistato, Milano, febbraio 1998
11) Cesos, Modelli formativi per l’apprendistato. I contratti di formazione lavoro e l’alternanza Roma, 1996
12) Studio Méta & associati, Modelli di intervento formativo nei processi di inserimento occupazionale (apprendistato e contratti di formazione-lavoro): aspetti critici e fattori di successo, report finale, Bologna, 1996
13) Larch M., Kasslatter B., Silvestro P., Apprendistato in Alto Adige e Tirolo del Nord. Analisi di due diverse realtà occupazionali, IRE, Bolzano, 1998
14) IpL, La funzione dell’apprendistato nei processi di apprendimento e trasmissione della conoscenza, s. d., Bologna
15) Tra i materiali prodotti per la formazione merita una particolare segnalazione la ‘Guida metodologico-didattica per formatori’ predisposta, in varie edizioni continuamente aggiornate, dall’Isfol nell’ambito dell’assistenza tecnica condotta dallo stesso Istituto ai progetti sperimentali per l’apprendistato.
16) Abete G., Una struttura modulare per la formazione professionale, in ‘Formazione domani’ n. 31/32, novembre – dicembre 1974, pp. 26-39.
17) Abete G., Formazione modulare: sperimentazione nel settore metalmeccanico, in ‘Formazione domani’ n. 64, ottobre 1977, pp. 48-61.