La scommessa di Pier Luigi Bersani è quella di riportare a votare quel popolo di sinistra che non voterebbe mai per il partito di Renzi e che, in mancanza di una credibile alternativa, ha, nel corso degli anni, contribuito ad alimentare il variegato popolo dei disaffezionati al voto.
Massimo D’Alema arricchisce il ragionamento mostrando il progressivo e inesorabile calo di consensi del partito di Renzi, passato dall’età dell’oro del 40,8% delle elezioni europee del 2014 ( MS5 al 21% e Forza Italia al 16,8%) al 24,5 delle amministrative del 2017 ( con un calo dell’1,8 rispetto a quelle del 2012)
E’ nei confronti di questo elettorato deluso che la nuova “ditta” Liberi e Uguali si rivolgerebbe per recuperare consensi e ridare al paese una prospettiva di sinistra che il PD avrebbe allontanato con le sue politiche di stampo neo-liberista.
Una prospettiva di sinistra incentrata su lavoro, lotta alla precarietà (cresciuta a dismisura con il Job’s Act), contrasto alle diseguaglianze (causate da una globalizzazione selvaggia a cui la sinistra nel suo complesso non ha saputo fare argine) garanzie di diritti per tutti ( immigrati compresi) e investimenti su sanità e istruzione (revisione delle leggi sulla scuola della Ministra Fedeli, abolizione delle tasse universitarie)
Liberi e Uguali dunque lancia la su OPA sul mercato elettorale degli astensionisti e su quella fascia di popolazione che della globalizzazione rappresenta la parte soccombente e che, in mancanza di una seria prospettiva di sinistra, sarebbe destinata ad ingrossare le file del populismo targato Salvini o Di Maio.
LeU, tuttavia, non è la sola formazione che si candida a rappresentare questa fascia di elettorato. L’offerta politica infatti può contare, come spesso accade nella storia della sinistra, anche su un’altra aggregazione ( Potere al popolo) derivata in buona sostanza da quella che ai tempi del Governo Prodi era la sinistra radicale ( Rifondazione, PdC e area dei centri sociali di base) e nobilitata dall’adesione di oltre 200 intellettuali, in primis Citto Maselli e Moni Ovadia.
Come in un gioco di specchi le critiche che Potere al Popolo rivolge a LeU non sono lontane da quelle sollevate da LeU al PD. Agli esponenti del partito di Grasso. si rimprovera dal punto di vista politico l’aver condiviso per lungo tempo le politiche renziane di stampo liberista e dal punto di vista dell’organizzazione la riproposizione del vecchio ceto politico emarginato da Renzi. In LeU dunque ci sarebbe più continuità con il PD che discontinuità e l’attenzione alla creazione di una classe politica nuova, nata dal terreno dello scontro sociale, sarebbe piegata dalla necessità di garantire un posto sicuro ai maggiorenti del partito ( Epifani in testa, ma non solo, paracadutato in Sicilia a dispetto dei Bersaniani siciliani e di Possibile che a tale decisione si sono fortemente opposti). In buona sostanza il vertice di LeU sarebbe rappresentato dai vecchi esponenti del Pd epurati da Renzi (ed ora desiderosi di rientrare in gioco) a cui si aggiungerebbero numerosi quadri della CGIL (anche essi emarginati dall’organizzazione o stanchi della loro attività sindacale).
Un biglietto da visita non certo dei migliori per chi aspira a rappresentare gli sconfitti della società post-industriale e l’ennesima riprova dell’ incapacità della sinistra di fare squadra trovando convergenze tra le varie formazioni che, al dilà delle differenze, si candidano tutte a rappresentare la stessa area sociale
Difficile immaginare che questa operazione possa portare ai risultati sperati come del resto sembrerebbero indicare gli ultimi sondaggi elettorali che attribuiscono al centro destra la soglia del 40% mentre l’area dell’astensionismo avrebbe un ulteriore balzo portando a 5 milioni il numero di cittadini che non andranno a votare.
Se dunque l’ipotesi di lavoro di Bersani era quella di rifidelizzare l’area dei delusi dalla sinistra, i sondaggi oggi disponibili (con tutti i limiti che essi hanno) darebbero per non raggiunto l’obiettivo. LeU dunque sembra schiacciata dal suo eccesso di verticismo che tuttavia non sembra aprire grandi spazi a Potere al popolo. Certo in questo caso la formazione è ancora più giovane e meno strutturata; in essa tuttavia si legge in filigrana l’esperienza passata dalla sinistra radicale che nel governo Prodi ebbe un ruolo importante (con numerosi Ministri, sottosegretari e il Presidente della Camera) che non fu in grado di esercitare una politica di sinistra anche in semplici termini di riforme ( la legge sulla non autosufficienza in primis)
L’offerta della sinistra non renziana non sembra dunque in grado di esercitare un ruolo effettivamente attrattivo su quanti votavano sinistra e col tempo hanno deciso di diventare esuli in patria, rifuggendo dalla politica. Per convincerli a rientrare nel gioco serviva qualcosa di più: una piattaforme comune e un nuovo gruppo dirigente, lontano dai personalismi e reale espressione del territorio. Elementi questi che sono merce rara per le formazioni politiche tradizionali e che mancano anche ai 5 stelle che pure sulla democrazia disintermediata hanno costruito il loro successo.