Le parole sono croci sulle quali inchiodare chi dissente. Ecco il decreto dignità e di converso i critici diventano indegni. Se il governo decidesse di varare un decreto uguaglianza, coloro che non fossero d’accordo sui contenuti verrebbero additati come i paladini dell’iniquità. Gli oppositori a un decreto felicità sarebbero tacciati di essere profeti del dolore. Solo i cattivi conclamati potrebbero avere dubbi su un decreto bontà, i seminatori di odio su un decreto amore, i volgari e i maleducati su un decreto gentilezza, i perversi su un decreto castità, i ladri su un decreto onestà. Non c’è scampo, in questa versione moderna dell’Inquisizione.
Guerra ai privilegiati, proclama Di Maio con il suo sorriso compiaciuto. E il popolo applaude. Via gli immigrati, tuona Salvini, con il suo cipiglio decisionista. E il popolo applaude. Gli slogan non ammettono tentennamenti. Sono ordini. E il popolo applaude. Ubbidisce, illudendosi di comandare. Accade in Italia, accade con tutti i demagoghi del creato.
Il consenso elettorale cresce. Più del sessanta per cento, rilevano i sondaggi. Metà e metà. Un trionfo per la Lega, una conferma per i Cinque Stelle. E nella dittatura della maggioranza le parole diventano pietre per seppellire l’avversario. L’opposizione, quel che ne resta, a sua volta esce da un’attonita afasia unicamente per rispondere con il lancio di altri sassi verbali. Razzisti e fascisti, le accuse tristi e senza fantasia. E’ il tramonto della logica, della temperanza, della razionalità, del dialogo.
Confucio sosteneva che in una società armoniosa è fondamentale usare i nomi in modo appropriato, altrimenti è il trionfo della confusione e dell’incomprensione. E invece le parole stanno perdendo il loro significato e il loro valore di conoscenza, di relazione, di condivisione. Il linguaggio, figlio del pensiero che dovrebbe contraddistinguere l’umanità, torna suono primordiale, urlo belluino, ruggito. Allora è meglio il silenzio. Rousseau, nume tutelare dei grillini, nel declinare della vita scriveva, con amarezza e delusione, di voler riservare le sue attenzioni agli animali perché non sono mai traditori o scaltri e non hanno secondi fini: “Un cane mi è assai più simile che non un uomo della presente generazione”. Fantasticherie di un passeggiatore solitario.