L’occupazione nella Pubblica Amministrazione risulta interessante leggendo attentamente l’elaborazione fornita dall’Aran su dati della Ragioneria Generale dello Stato aggiornati al 4 luglio 2018. Quando si parla di settore pubblico le amministrazioni da considerare sono molte e diverse tra loro; perciò, spesso, è quasi impossibile tracciare un quadro sintetico che possa dare conto in modo coerente ed omogeneo dell’intero settore. Nel pubblico impiego oggi le donne prevalgono infatti su 3,2 milioni di dipendenti 1,8 sono donne e 1,4 uomini ( esse dunque sono oltre il 55% del totale degli occupati), e i settori a prevalenza femminile sono la scuola (873.000 contro i 232.000 maschi) e la sanità (428.000 contro 220.000) anche se la crescita è molto differenziata per i diversi settori. Nei ministeri siamo alla metà degli occupati. Resta un deficit nella polizia, nelle forze armate, nei vigili del fuoco.
Ma ben diversa è la situazione se dal complesso ci spostiamo ai vertici. Qui troviamo solo il 37% soltanto degli incarichi apicali nella Presidenza del consiglio, nei ministeri troviamo solo il 42% di donne nella dirigenza generale e solo il 30% negli incarichi apicali (sia pure anche qui con differenze tra ministeri). Nelle autorità indipendenti la percentuale di dirigenti donne è ferma al 35%. Nelle carriere diplomatica troviamo una sola donna ambasciatrice, e una percentuale dell’8% nel settore ministri plenipotenziari e solo il 18% nei livelli medio alti della carriera. Meglio tra i prefetti: il 50% ed oltre nel caso dei viceprefetti e il 61% tra i viceprefetti aggiunti. Anche se solo il 31% nel grado superiore di prefetto. In generale la quota di dirigenti donne nel settore pubblico è al 38%. Il maggior incremento (15,5 punti percentuali) si è registrato tra gli Enti Pubblici non economici (Inps, Inpdap, Inail, Aci).
Corposa è la presenza di personale femminile delle Amministrazioni Centrali, e dai dati si osserva l’interessante composizione e consistenza del personale in servizio distinto per genere e per qualifica, il personale con contratto di lavoro a tempo pieno e parziale distinto per genere e per qualifica, la distribuzione del personale per titolo di studio distinto per genere e per qualifica: la prima osservazione è che la distribuzione del personale in ottica di genere evidenzia che la presenza femminile è superiore a quella maschile e che si è incrementata nell’ultimo periodo rilevando una contrazione più contenuta rispetto alla riduzione complessiva dei dipendenti del comparto. Nelle qualifiche dirigenziali elevate (apicali e prima fascia), si rileva una prevalenza maschile che tende a contrarsi ma che permane più che doppia rispetto a quella femminile. Il fenomeno si attenua per il personale dirigenziale di seconda fascia nel quale l’accesso avviene prevalentemente per concorso. Infatti, sempre nell’ultimo periodo, si nota una sostanziale invarianza del personale femminile mentre quello maschile si riduce di un quarto. Il fenomeno si correla al fatto che le limitate recenti assunzioni hanno visto crescere l’ingresso di personale dirigenziale femminile mentre la quiescenza interessa prevalentemente il “bacino” dirigenziale esistente, in larga parte maschile. Per quanto riguarda il personale delle aree, solo nell’Area I il personale femminile è numericamente inferiore a quello maschile.
Al contrario, nell’Area II e soprattutto nell’Area III la presenza femminile è largamente più numerosa di quella maschile. Tale distribuzione, costante nel periodo e coerente con il trend di contrazione generale, evidenzia una presenza femminile nelle funzioni che richiedono requisiti di scolarizzazione media superiore. Pertanto, come rilevato dai dati sul grado di scolarizzazione per genere, il personale femminile con elevato livello di istruzione è significativamente superiore a quello maschile. Anche il fenomeno del part-time è prevalentemente femminile e l’incidenza oscilla intorno all’11% della popolazione femminile. I dipendenti maschi in part-time sono meno di un quinto delle femmine. In particolare, le donne laureate sono aumentate in valore assoluto e quindi, in termini di incidenza sulla popolazione femminile, sono passate dal 25,3 % al 30,2%. Anche il livello universitario maschile è aumentato ma l’incidenza è salita dal 18,1% al 21,2% della popolazione maschile e in termini di varianza, la maggiore crescita registrata ultimamente nel comparto è data dalle donne con livello di istruzione universitario.
Sta di fatto che le donne sono titolari del 51% del totale degli assegni di ricerca. In media tra personale docente universitario e ricercatori, la quota femminile è del 40% contro il 60% maschile. L’incidenza femminile si riduce però man mano che il livello della carriera accademica cresce. È auspicabile lo sviluppo di una cultura organizzativa in ottica di genere che possa valorizzare le differenze tra uomini e donne senza penalizzare a priori gli uni o le altre, unitamente ad azioni in ottica di sistema. Interventi specifici e strategie di medio-lungo periodo potrebbero influire in modo determinante sul trend negativo della segregazione orizzontale e sulla frequente segregazione verticale. Sarebbe interessante capire se le recenti riforme apportate sia dal Jobs act che dalla riforma della Pa in termini di flessibilità lavorativa abbiano realizzato un maggior benessere lavorativo per tutti i lavoratori e, al contempo, si sia realizzato nei fatti un avanzamento sul versante di una società più equa con maggiori spazi di crescita professionale anche per le donne. Ma dalle rilevazioni sui dati occupazionali ci corre l’obbligo ratificare una evidente delusione.
Alessandra Servidori