Una società priapica basata sul possesso e sul consumo. Una cultura dominante che considera la donna come oggetto di proprietà personale, fonte di desiderio, schiava della famiglia. Le figlie di Eva invocano la propria libertà ma i figli di Adamo al più fanno finta di concedergliela. La colpa primigenia e la perdita del paradiso sono archetipi costantemente innaffiati dalla dottrina cattolica. Perché a chi non ha il pene, è vietato il sacerdozio? Perché la prostituzione, sentina delle maschili bassezze, viene considerata essenzialmente una colpa femminile tanto da punire la mignotta, orribile espressione di virile conio, ben più del cliente? La morale e la legge si sono evolute ma non così tanto da scardinare quelli che non costituiscono solo immarcescibili convinzioni ma la base stessa della tradizionale convivenza.
La donna resta una succube perché il punto di vista vincente è sempre quello, fallico, dell’uomo. O meglio di un tragico mito basato sul predominio della forza, della potenza, dell’erezione. Tutto il resto è inferiore, dal sesso debole, così definito non per rispetto ma con disprezzo, all’omosessualità. Non è un caso che la lotta delle femministe sia affiancata a quella per i diritti dei gay. Ma tutte le ineludibili rivendicazioni sono destinate ad essere accolte solo a parole, o tutt’al più iscritte in maniera più formale che sostanziale nei princìpi del liberalismo, se a dominare continuano ad essere valori patriarcali e possessivi. E se l’educazione sessuale, invece di essere finalizzata alla comprensione e all’accettazione delle diversità, viene piegata ai puri fini procreativi e di tutela della salute.
Dio è uomo nelle tre religioni monoteiste, lo è anche in quelle pagane e panteiste, da Odino a Manitou, e quando assume un volto femminile, come nell’induismo, diventa la tremenda Kali. Anche Buddha risulta fosse un maschietto. La Madonna, per essere adorata, deve corrispondere al dogma della verginità. Madre, ma nel mistero dell’immacolata concezione. La copula resta un peccato, si fa ma non si dice. E la presunta normalità ha le ipocrite sembianze del borghese benpensante che tradisce la moglie di nascosto.
Alle fantasie sulle origini dell’umanità, si sono, nel corso della storia, aggiunte le evoluzioni economiche che hanno sempre cercato di relegare la donna nel ruolo di gregaria. Fino al delirio del consumismo e al culto del corpo come ragione stessa dell’esistenza. E allora perché meravigliarsi se i maschi considerano l’altra metà del cielo come un proprio territorio di conquista? Quando si è totalmente alienati e in disperata ricerca d’identità, la perdita del dominio può diventare violenza. Il che non è un’attenuante ma semmai un’ulteriore aggravante, perché si è responsabili non solo della propria intollerabile condotta ma anche dell’accettazione supina di esecrabili modelli di comportamento.
La stessa psicanalisi, con i suoi concetti di devianza, non aiuta a comprendere la complessità del fenomeno e anzi individualizza, e, di fatto, sminuisce, il tragico portato di una scelta che è collettiva. Non stupiamoci se, nella giornata mondiale contro la violenza e gli stupri, una ricerca dell’Istat conferma il persistere di preconcetti sulle donne che se la vanno a cercare. La caccia alle streghe è sempre aperta.
Il clamore suscitato dal movimento #MeToo è stato inquinato da un chiacchiericcio ironico, cinico, allusivo. Il linguaggio politicamente corretto copre con un ipocrita velo l’indecenza della realtà. E la retorica del femminicidio diventa una nuova croce sulla quale inchiodare, e deridere, l’angelo del focolare.
Marco Cianca