Si moltiplicano le voci e gli appelli per un nuovo, l’ennesimo, patto tra governo e parti sociali per aiutare l’economia in crisi. Teoricamente, nulla da eccepire. Siamo in piena stagflazione, stagnazione più inflazione, la miscela più pericolosa perché abbatte il potere di acquisto dei salari senza alcuna possibilità di accrescerli. La Bce ha deciso di fronteggiare l’inflazione e ha aumentato il costo del danaro. La classica manovra per deprimere le impennate dei prezzi, ma a costo di rendere la crisi ancora più dura. Quindi, cosa di meglio che un patto tra tutti i responsabili delle cose economiche e sociali per cercare di uscire da questo buco?
Il punto è che questo patto sembra davvero anomalo, perché non ha nulla dei patti tradizionali. Una volta infatti cosa si faceva? Si individuava un obiettivo, ci si confrontava sulla validità di tale obiettivo, se tutti erano d’accordo si cercava di mettersi d’accordo sui possibili comportamenti virtuosi che avrebbero potuto condurre a quel risultato-obiettivo badando a compensare eventuali sacrifici con qualcosa di tangibile o almeno di comprensibile. Stavolta invece siamo del tutto fuori da questo schema. L’obiettivo di fondo è chiaro, ma vaghissimo, rimettere in piedi l’economia, uscire dallo sviluppo zero. I comportamenti, almeno quelli che si chiederebbero ai sindacati, anche questi nel vago: non disponibilità a rivedere organizzazione del lavoro, tempi di lavoro, salari, ma disponibilità tout court, in quanto tale difficile da concedersi. Anche perché sono ancora del tutto incerte le possibili contropartite. Il ministro del Lavoro non vi ha fatto cenno, il ministro dell’Economia si è speso un po’ di più facendo una promessa, per cui adesso non si darebbe nulla ai lavoratori, ma, se il pil dovesse riprendere a crescere, allora ci sarebbe qualcosa anche per i ceti più deboli.
Le coordinate per stringere questo patto sembrano davvero incerte. E non stupisce allora che qualcuno abbia già fatto un passo indietro. Se Guglielmo Epifani ha cominciato a dire che non ci sono i termini per un accordo, è difficile dargli torto. Tanto più che il suo giudizio sui primi atti del Governo in maniera economica è del tutto negativo. Sbaglierebbe però il leader della Cgil se gli bastasse questo per ritirarsi su un suo Aventino. Per diversi motivi. Perché questa maggioranza è forte e coesa ed è difficile pensare che un sindacato forte e centrale come la Cgil possa stare per cinque anni ai margini senza pagare poi un prezzo altissimo. Perché Cisl e Uil hanno fatto capire di essere disponibili non a firmare tutto quello che gli verrà sottoposto, memori anche del flop del Patto per l’Italia del secondo governo Berlusconi, ma certamente a confrontarsi con grande attenzione con il governo su questi temi. E l’unità sindacale è al momento la vera forza dell’insieme delle rappresentanze dei lavoratori. Ancora, perché è in corso un delicato e difficile negoziato con Confindustria e le altre confederazioni degli imprenditori per rivedere il sistema della contrattazione e questo sì che può essere il passo giusto per ridare tono all’economia, intervenendo sui motivi di fondo che negli anni hanno depresso il tasso di produttività e quindi di competitività della nostra produzione.
Il punto è capire allora cosa conviene a ciascuna delle parti in gioco. Al Governo conviene certamente insistere per avere qualche disponibilità dal sindacato, perché la coesione sociale fa sempre bene e perché nemmeno una maggioranza forte in questa situazione difficile dell’economia può permettersi un autunno surriscaldato. Ma sapendo che sulla fiducia soltanto è difficile ottenere qualcosa di concreto in cambio. Agli imprenditori conviene portare a casa l’accordo sulla contrattazione, chiave di una maggiore produttività e più in generale di una migliore capacità retributiva, dal punto di vista qualitativo e forse anche da quello quantitativo.
Al sindacato tutto conviene trattare con tutti, con gli imprenditori per i contratti, ma anche con il Governo, senza dividersi, guardando alla realtà dei fatti, cercando di stringere il governo alle sue responsabilità. Con l’obiettivo di ottenere qualcosa in più di semplici promesse. Sempre però con grande autonomia, evitando qualsiasi coinvolgimento politico, che nessuno nel sociale si può più permettere.
7 luglio 2008
Massimo Mascini