Un piccolo paese nei dintorni di Firenze, XVI secolo. Un giorno la campana della chiesa si mette a suonare. A morto. Sorpresa generale perché nel villaggio non c’era nessuno che stesse per passare a miglior vita. Le comari escono in strada, corrono i bambini, gli uomini lasciano le botteghe e il lavoro dei campi. Tutti sul sagrato, per capire cose stesse succedendo. Don don. Don don. Ma chi sta facendo le veci del campanaro? Ecco che sulla porta appare un contadino. Eri tu? Sì. E perché? È per il Diritto che ho suonato a morto, perché il Diritto è morto.
Questo contadino era vessato dal signore del luogo che ogni giorno gli toglieva una fetta del suo campicello. Protestò, reclamò, ma senza esito. Decise allora di annunciare urbi et orbi, cioè il piccolo agglomerato di case dove viveva, la morte del Diritto.
Josè Saramago giurava di non aver inventato questa storiella, da lui inserita nella raccolta di racconti “Di questo mondo e degli altri”, ma di averla trovata in un libro “nero su bianco, in bella scrittura”. E aggiungeva: “Ora immaginiamo le campane del mondo, in tutti i templi che usino campane per chiamare piangere e protestare, suonare a morto in un echeggiare universale di città in città, saltando oltre le frontiere, lanciando ponti sonori sugli oceani. Diventeremmo tutti sordi. Chi potrà sopportare tanto dolore?”.
Lo scrittore portoghese ammetteva che “non c’è modo di porre rimedio alle tante ingiustizie della vita” ma almeno voleva togliere dall’oblio l’ignoto contadino. Nel nostro piccolo, prendiamo il testimone.
Sono passati sei anni, era il 25 agosto del 2017, da quando un milione di Rohingya furono cacciati dal Myanmar e costretti con la violenza (si contarono diecimila vittime) a rifugiarsi per lo più in Bangladesh. Ora, denuncia l’Onu lanciando l’appello a non dimenticare, questa minoranza etnica musulmana versa in condizioni drammatiche. Manca tutto e sono in aumento malattie come la scabbia, con oltre il 40 per cento di contagiati. Allarme per i minori, oggetto di abusi fisici e prede dei trafficanti di essere umani.
Un fiume di lacrime nel mare della sofferenza. Sempre le Nazioni Unite calcolano che al mercato mondiale della criminalità ogni anno si comprano e si vendono 27 milioni di donne e di bambini. Un giro d’affari valutato in oltre trenta miliardi di dollari.
Secondo la Fao, 80 Paesi hanno bisogno di cibo. I pezzenti assoluti superano gli otto miliardi. Solo da noi sono 5,6 milioni. Francesco Lollobrigida, bizzarro ministro dell’agricoltura nostrana, sostiene che i poveri mangiano meglio dei ricchi. Non è arrivato a dire che sono anche più felici, ma poco ci manca. Chissà perché, allora, 828 milioni di persone muoiono letteralmente di fame.
In Ucraina si continua a combattere. La guerra è diventata un’abitudine. Le immagini dei bombardamenti, il sangue e le urla, vengono date per scontate. Una notizia del telegiornale, tra un titolo sul cambiamento climatico e un servizio riguardante il ritorno dalle vacanze.
Roberto Vannacci, fino a ieri sconosciuto ai più, ha partorito “Il mondo al contrario”, best seller dell’estate, sorta di Mein Kampf in salsa italica. Forse il generale non lo sa, o fa finta di non saperlo, ma le sue farneticazioni sono legate con un filo nero a quelle hitleriane: li unisce il disprezzo per i più deboli e i diversi. In nome di una presunta, superiore, normalità, inventata a proprio uso e consumo. Tra i nemici non sono ancora additati gli ebrei ma di sicuro l’antisemitismo permea questo universo rovesciato. Al momento, nella lista delle categorie da combattere, domare e dominare ci sono gli immigrati, i neri, le donne, gli omosessuali. L’odio diventa una rivendicazione. E scorre, nauseabondo.
Matteo Salvini, già esaltatore di Putin e sempre desideroso di pieni poteri, plaude e invidia il pernicioso militare. Piacerebbe anche a lui esibire una divisa e qualche medaglia ma per il momento deve accontentarsi di annunciare un nuovo decreto sicurezza. Altre norme disumane e liberticide per incentivare la clandestinità.
Don don. Don don. Quando suonano le campane?
Marco Cianca