L’azienda aderisce alla Confindustria; in conseguenza di quest’adesione recepisce ed applica alle sue maestranze un accordo integrativo interaziendale che prevede una pluralità di erogazioni economiche a favore delle maestranze occupate.
Dopo qualche anno decide di disdire la sua iscrizione alla Confindustria. Nonostante questa disdetta, però, ha continuato ad applicare alle sue maestranze interne il contratto integrativo ad eccezione di un premio di partecipazione per alcuni mesi. Uno dei lavoratori interessati ha rivendicato il pagamento di questo premio che l’azienda ha negato di dover erogare, sostenendo che i contratti collettivi sono contratti di diritto comune e la disdetta della sua iscrizione alla Confindustria ha comportato il diritto aziendale di non continuare ad applicare il contratto collettivo integrativo che la società aveva recepito solo per aver aderito all’associazione sindacale confindustriale. L’azienda in questo rifiuto ha insistito sulla circostanza di non aver mai richiamato il contratto collettivo come fonte normativa da applicare al rapporto di lavoro. Anche nella lettera di assunzione questo contratto integrativo interaziendale è stato totalmente ignorato.
Il Tribunale e la Corte di Appello hanno riconosciuto il diritto del lavoratore, rigettando tutte le eccezioni difensive dell’azienda che, insoddisfatta di questa decisione, ha ritenuto di proporre ricorso in Cassazione. La Cassazione, però, ha confermato le precedenti decisioni dei giudici di merito con la motivazione che riportiamo di seguito: ” Questa Corte ha ripetutamente affermato che i contratti collettivi postcorporativi di lavoro, che non siano stati dichiarati efficaci erga omnes ai sensi della legge 14 luglio 1959, n. 741, costituiscono atti aventi natura negoziale e privatistica, applicabili esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti fra soggetti che siano entrambi iscritti alle associazioni stipulanti ovvero che, in mancanza di tale condizione, abbiano espressamente aderito ai patti collettivi oppure li abbiano implicitamente recepiti attraverso un comportamento concludente desumibile da una costante e prolungata applicazione, senza contestazione alcuna, delle relative clausole al singolo rapporto. Ne consegue che, ove una delle parti faccia riferimento, per la decisione della causa, ad una clausola di un determinato contratto collettivo di lavoro, non efficace erga omnes, in base al rilievo che a tale contratto entrambe le parti si erano sempre ispirate per la disciplina del loro rapporto, il giudice del merito ha il compito di valutare in concreto il comportamento posto in essere dal datore di lavoro e dal lavoratore, allo scopo di accertare, pur in difetto della iscrizione alle associazioni sindacali stipulanti, se dagli atti siano desumibili elementi tali da indurre a ritenere ugualmente sussistente la vincolatività della contrattazione collettiva invocata. Ebbene, la Corte di merito ha affermato che la società, anche dopo l’anno 2010, “ha continuato ad erogare tante e significative voci retributive e/o incentivanti e/o indennitarie, previste proprio dal contratto integrativo interaziendale (come “ex ristrutturazione salariale”, “premio di produzione”, “premio di produttività e qualità”, “premio di partecipazione -parte fissa”, “buoni pasto”)”. Dalla costante e prolungata applicazione di tali istituti ha desunto che la ricorrente, pur avendo dato la disdetta dall’associazione sindacale dei datori di lavoro (Confindustria), implicitamente avesse mantenuto l’applicazione della contrattazione collettiva.
Tale decisione è rispettosa dei principi sopra richiamati e resiste alla censura della società ricorrente, tenuto pure conto che, come più volte affermato da questa Corte, la valutazione che porta a ritenere sussistente l’implicito recepimento di un contratto collettivo attraverso un comportamento concludente desumibile da una costante e prolungata applicazione delle relative clausole al singolo rapporto costituisce un accertamento di fatto spettante al giudice di merito, insindacabile in questa sede.”
Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 33.422, pubblicata l’11 novembre 2022.
Biagio Cartillone