Le persone dotate di autostima non hanno mai problemi a scusarsi quando qualcuno si sente offeso, a torto o a ragione, dai loro atti o dalle loro mancanze. E dunque Mario Draghi, a cui l’autostima nella giusta misura certamente non manca, ha concluso l’attesa conferenza stampa del 10 gennaio con una ammissione di colpa: dichiarando che si, l’appuntamento è stato convocato come “atto di riparazione” alla “mancanza” di non aver dato al paese la giusta comunicazione dopo il varo del nuovo decreto anti covid del 4 gennaio. Decreto che peraltro conteneva le due misure più drastiche prese da un anno a questa parte: vaccino obbligatorio per gli over 50 e super green pass per poter continuare a condurre una vita sociale e lavorativa normale.
In realtà il silenzio della scorsa settimana era abbastanza giustificato: una intera giornata di lavoro accanito, tra cabine di regia e consiglio dei ministri, finito peraltro a tarda ora, e con un festivo, l’Epifania, per di più con “ponte”, davanti. Ma, ammette Draghi, “ho sottovalutato” il bisogno del paese di sapere, dalla viva voce del premier, il senso dei provvedimenti presi. Non essendo state ritenute bastevoli (dai media, quanto meno) le spiegazioni rilasciate dai ministri interessati all’uscita di Palazzo Chigi: sotto la pioggia, all’ora di cena, in piedi e in precaria illuminazione da esausti faretti di videocamere. Ne era scaturita nei giorni seguenti una ridda micidiale di ipotesi: crisi della maggioranza, crisi di Draghi, crisi di decisioni in vista del Colle, eccetera. Di qui la riparazione dell’onta, presentandosi ai giornalisti di persona personalmente, come avrebbe detto il personaggio del mai abbastanza rimpianto Camilleri.
E veniamo dunque alla conferenza stampa. Va detto che la frase contenente le scuse Draghi l’ha pronunciata in chiusura, buttata lì quasi per caso, con la platea dei giornalisti in piedi e già indossante il cappotto; ma fin dall’inizio era abbastanza chiaro come il premier ritenesse piuttosto noiosa tutta la faccenda della riparazione. D’altra parte, forse per far partecipi della sua noia anche i giornalisti presenti, aveva invece esordito con un’altra frase, tutt’altro che di maniera e deliziosamente crudele, definita una “postilla”: “non rispondo a domande sul Quirinale”. Un passo indietro: il 22 dicembre scorso, nella conferenza di fine anno (quella si lunga, fitta, interessante, piena di spunti e di cose), il premier si era permesso di rispondere a molte domande proprio sul suo destino futuro e sull’eventuale ascesa al Colle. Apriti cielo: sui media e nei partiti si era scatenato l’inferno di critiche e commenti negativi, per aver osato parlare di quello di cui ormai da mesi parlavano tutti. Dunque, avrà pensato Draghi, stavolta meglio tacere. Macché. Apriti cielo un’altra volta, e stavolta l’accusa è quella opposta: “come ha osato non parlare del Quirinale, come ha osato dire ai giornalisti che non avrebbe risposto a ‘quelle’ domande”. Come fai sbagli, dicono a Roma, e Draghi è romano. Chissà se lo ha pensato, certamente non lo ha detto.
In compenso, nella pur annoiata conferenza stampa, ha comunque detto alcune altre cose pesanti. La prima, contro i novax: se siamo in questa condizione, se siamo qui a parlare di aprire o non aprire le scuole, chiudere o non chiudere altre attività, se siamo nuovamente costretti a fare i conti con i posti in ospedale, la colpa è di chi non si è vaccinato, ha detto Draghi. Ed è per questo – per arginare, per costringere – che è stato deciso l’obbligo per i cinquantenni: sono loro la generazione che riempie corsie e terapie intensive.
Seconda cosa importante detta da Draghi: la scuola resta aperta, e resterà aperta. Per diversi motivi. Intanto, perché gli studenti italiani hanno perso in media 65 giornate scolastiche, contro una media degli altri paesi europei di 26; poi perché la Dad aumenta le diseguaglianze tra i ragazzi, e con effetto tanto durevole che si ripercuoterà su tutta la loro vita lavorativa futura. Infine, per un ragionamento di puro buonsenso (da “nonno”, diciamo): “i ragazzi il pomeriggio vanno a fare sport, si vedono tra loro, la sera vanno in pizzeria, ma la mattina non possono andare a scuola? Non vi sembra assurdo?”.
Terza cosa, e più importante di tutte, è una frase che Draghi lascia cadere come per caso: “dicono che non decido più niente (sottotesto: “perché pensano che io guardi solo al Colle”) ma non è così: la prova è che siamo qui oggi, e che le scuole restano aperte, contrariamente a quello che avveniva in passato”. Qualcuno insomma ha deciso e quel qualcuno è ancora Mario Draghi. Che, certo, ha dovuto mediare con la sua maggioranza, “ma quando si prendono decisioni così delicate e importanti è fondamentale l’unanimità”. E, certo, ci sono ”divergenze di opinioni” tra i vari esponenti politici della maggioranza: “ma questo non ha influito sull’attività di governo”, che infatti “va avanti bene”. Per andare avanti davvero, però occorrono quattro elementi fondamentali, e Draghi li elenca uno per uno: “realismo, prudenza, ma anche fiducia e soprattutto unità”. Le nuove Virtu’ Cardinali.
Riassumendo. Draghi afferma di essere pienamente al comando di una maggioranza che è probabilmente più solida di quanto i media raccontino; la pandemia prosegue, ma il governo ha (abbastanza) chiaro cosa fare (nei limiti del possibile) e la situazione è (abbastanza) sotto controllo; i vaccini corrono, e i nuovi obblighi li faranno correre più velocemente ancora. Ci saranno altri contagi, ci sarà probabilmente altra Dad, ma tenendo duro, evitando i capricci – e soprattutto vaccinandoci – ne usciremo.
E il Quirinale? E niente: il Colle è sempre più avvolto nella nebbia. Draghi non parla, ma in compenso (stra)parlano tutti gli altri, in una cacofonia insopportabile. Il timer intanto scorre, tra quattordici giorni si inizia a votare. Più che una partita a scacchi è ormai una Telesina messicana: carte coperte, puro azzardo, certo non per deboli di cuore.
Nunzia Penelope