A 30 anni della scomparsa di Italo Viglianesi, avvenuta il 19 gennaio 1995, fondatore e primo segretario generale della Uil, è opportuno ricordare il riformismo di uno dei Padri del sindacalismo italiano nel dopoguerra.
Viglianesi, siciliano di Caltagirone, il 5 marzo 1950 con un pugno di coraggiosi, provenienti da esperienze politiche e sindacali diverse, socialisti autonomisti, repubblicani, saragattiani, dirigenti legati all’esperienza del sindacalismo nazionale rivoluzionario organizzati attorno alla rivista “Il Lavoro Italiano” e sindacalisti indipendenti, diedero vita all’Unione Italiana del Lavoro (tra questi mi piace ricordare mio padre Giorgio), contro la logica della guerra fredda e della polarizzazione ideologica in campo sindacale.
L’opera di Viglianesi e la nascita della Uil, dopo decenni di scarsa attenzione, sono state oggetto di ampi e importanti studi da parte della Fondazione Buozzi presieduta da Giorgio Benvenuto, leader storico del sindacalismo italiano e, a sua volta, interprete autentico del riformismo sindacale nel dopoguerra.
La Uil ha rappresentato il riformismo nel sindacalismo italiano, con Viglianesi che riprese le tesi laburiste della Cgdl prefascista guidata da Rinaldo Rigola, del controllo operaio di Bruno Buozzi e in campo giuridico della Costituzione “sociale” di Weimar, con un’originale proposta di “democrazia del lavoro” secondo lo spirito costituzionale, fondato sulla collaborazione alla gestione delle aziende, proponendo la contrattazione di settore quale “terza via” nella contrapposizione tra Cgil e Cisl su centralizzazione e decentramento contrattuali. A livello di economia poi, Viglianesi sostenne la programmazione economica e la politica di piano del primo centro-sinistra, politicamente impegnato per l’unificazione tra Psi e Psdi e per il “sindacato socialista”, avendo sempre a livello di scenario internazionale l’Europa e la scelta atlantica, anche dopo l’impegno sindacale, quale senatore e ministro della Repubblica.
Scelte coraggiose al tempo, espressione di quel riformismo in campo sindacale, del quale il Paese avrebbe davvero bisogno, stretto, invece, in un bipolarismo che impedisce ai sindacati di avere proposte unitarie e di assumere iniziative adeguate nei confronti di problemi che affliggono in questa fase storica il mondo del lavoro, in primo luogo l’evidente questione-salariale che il lavoro povero e sottopagato propone e il dramma degli infortuni.
Un riformismo che secondo il politologo Giorgio Galli “ha aperto una strada che è stata poi percorsa dall’insieme del sindacalismo italiano; e forse – più in generale – dall’insieme della sinistra storica in Italia”.
Oggi, per il sindacalismo italiano, nell’imbuto prodotto dal conflitto tra radicalismo e collaborazionismo sindacali, servirebbe davvero una posizione riformista, assieme alla ripresa dell’unità d’azione.
Maurizio Ballistreri – Professore di Diritto del Lavoro nell’Università di Messina