Casomai qualcuno si fosse illuso della svolta moderata di Giorgia Meloni, adesso può mettersi l’anima in pace: la Presidente del Consiglio non è diventata un’altra persona rispetto a quella che avevamo conosciuto fino a quando non è arrivata a Palazzo Chigi. Ha semplicemente fatto finta di esserlo, anche grazie al ruolo che ricopre e quindi ai rapporti internazionali che deve mantenere pure con leader mondiali che non hanno la sua stessa “cultura” politica. Ma non appena le si è presentata l’occasione, come è accaduto al congresso dei fascisti spagnoli di Vox, ecco che tornano a galla gli “spiriti animali” della donna nata e cresciuta nel mondo della destra italiana. Che in collegamento video e parlando in spagnolo (bene, bisogna ammettere), ha detto “no agli immigrati irregolari, sì alle frontiere chiuse, no al green deal, no a chi dice che i figli inquinano, no a chi ci ordina cosa possiamo mangiare, quali macchine possiamo guidare… No a chi attacca la nostra libertà comodamente seduto nel suo salotto, sì all’identità cristiana d’Europa, sì alla famiglia tradizionale, no al gender, no ai figli prodotti del supermercati, questo non è progresso ma oscurantismo…”. E così via con tutto il repertorio dei luoghi comuni della peggior destra europea.
D’altra parte è anche logico che questo accada, in campagna elettorale, come in guerra e in amore, tutto è lecito, anche smentire nei fatti il proprio lavoro precedente per accreditarsi come una leader di destra sì ma senza esagerare. Invece ora bisogna esagerare, sperando così facendo di conquistare più voti possibili, magari prendendone qualcuno anche ai propri alleati, soprattutto a Salvini. Tanto che la premier è stata costretta a una penosa marcia indietro sul redditometro non appena le hanno fatto notare che si tratta di un provvedimento tipicamente di sinistra, o almeno da stato centralista e controllore. Insomma, “no al grande fratello”.
Avere alla testa del proprio Paese una leader del genere non è il massimo per un popolo che ama la democrazia e la civiltà, tuttavia proprio perché siamo in campagna elettorale forse non è neanche un grande problema quanto meno per chi spera di vincere le elezioni europee e successivamente anche quelle nazionali, quando ci saranno. Detto francamente, per l’opposizione di centrosinistra è meglio avere di fronte la vera destra che non quella ipocrita e mascherata da brava gente. Contro una destra del genere, si possono usare tutti gli argomenti utili e intelligenti e ragionevoli per convincere il maggior numero di italiani che bisogna cambiare radicalmente passo. Non è neanche difficile – e bisogna riconoscere che Elly Schlein lo sta facendo – proporre ricette alternative a quelle di chi oggi sta al potere. Su tutte le questioni messe all’ordine del giorno da Meloni e dall’attualità politica. Basta avere il coraggio di sostenere che per esempio gli immigrati vanno accolti anche se sono illegali, che i diritti sono patrimonio di tutti anche di chi non è sessualmente ortodosso, che la protezione dell’ambiente è sacrosanta per tutti quelli che vivono oggi e che vivranno domani, che la difesa della famiglia tradizionale è anacronistica in un tempo in cui tutte le relazioni umane cambiano e si evolvono, che pagare le tasse “è bellissimo, un modo civilissimo di contribuire a servizi indispensabili come la salute e la scuola”, come disse nel 2007 l’allora ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa. Sfidando l’impopolarità ma dicendo la cosa giusta.
Insomma, che una modernità assennata e non ideologica (ché quest’ultima invece è sempre stata di destra) deve essere la base fondamentale di chi guida la sinistra oggi e si candida a guidare il Paese domani. Anche a costo di risultare appunto impopolari, sapendo però che solo mettendo in piazza le proprie idee e la propria storia, essendo se stessi si potrà tentare di ribaltare l’attuale situazione politica e convincere la maggioranza degli italiani a “buttarsi a sinistra”, come disse Totò con una sua celebre battuta. Oppure, come spiegò Walter Veltroni in un’intervista al “manifesto” di 25 anni fa, “meglio perdere che perdersi”.
Riccardo Barenghi