L’ascensore sociale si è rotto. Sono queste le parole che Matteo Maria Zuppi, il presidente della Cei, ha scelto per indicare il dato più rilevante del rapporto Cariplo sulle diseguaglianze uscito qualche giorno fa. Il meccanismo che consentiva alle generazioni meno abbienti di risalire la china sociale per usufruire di migliori condizioni di vita e lavoro, si è inceppato. Non è una novità, purtroppo. È tristemente noto che la realtà delle classi più disagiate negli ultimi anni è andata progressivamente peggiorando, poi la pandemia ha fatto il resto, impoverendo chi era già povero, rendendo più difficile la crescita sociale. Il rapporto Cariplo ha però messo in luce una situazione in progressiva difficoltà: per tutti, in particolare per le generazioni più giovani, che stanno vivendo un vero tracollo. Non solo guadagnano sempre meno e hanno prospettive molto limitate per quanto si riferisce alle loro pensioni, ma sono sempre più esclusi dal mondo del lavoro. Peggiora la realtà dei giovani, va ancora peggio per i lavoratori meno professionalizzati, quelli per primi oggetto di esternalizzazioni, perché le imprese tendono a difendere le posizioni dei lavoratori più necessari alla produzione core, lasciandosi alle spalle tutti gli altri.
Le diseguaglianze crescono, ammonisce il rapporto della Cariplo, aumenta la frammentazione sociale minando in questo modo sia l’essere una comunità, sia le possibilità di sviluppo. Una situazione di difficoltà che contrasta con il dettato dell’articolo 3 della Costituzione, che chiede con chiarezza la rimozione degli ostacoli che portano diseguaglianza nella società. Servirebbero grandi investimenti, nota Zuppi, dei quali però non si intravede nemmeno l’ombra. E del resto sono le cifre a parlare. Dal 1990 al 2020, in trent’anni il salario medio degli italiani è sceso del 2,9%, negli altri paesi industrializzati nostri concorrenti le retribuzioni sono salite vertiginosamente. Francia e Germania hanno fatto segnare, sempre in questi 30 anni, crescite superiori al 30%.
Il paradosso è che i salari scendono in Italia proprio mentre si verifica il più clamoroso mismatch tra domanda e offerta di lavoro, quando si aprono delle enormi falle nel fabbisogno di prestatori d’opera. Coldiretti afferma che in agricoltura mancano 100mila lavoratori l’anno, l’Ance parla di un fabbisogno di 12 mila lavoratori nelle costruzioni per il triennio 2023-2025, la Confcommercio stima che ci sia una carenza di lavoratori nella ristorazione pari a 140mila persone l’anno. E la stessa situazione si presenta per gli alberghi (-200mila persone), l’artigianato (-260mila), l’autotrasporto (-20mila). Tutto farebbe credere che in questa situazione, con le imprese che si litigano i dipendenti, i salari crescano: e invece accade il contrario, solo per alcuni impieghi, molto professionalizzati, accade il contrario, le retribuzioni medie invece scendono. Il fenomeno dei working poor, i lavoratori poveri, persone che hanno un lavoro contrattualizzato ma stentano ad arrivare alla fine del mese, è in crescita. Il governo per mantenere l’occupazione pensa a distribuire incentivi per le imprese che assumono, Confindustria non crede sia una buona idea. È il nostro mestiere assumere, afferma Carlo Bonomi, meglio abbassare il cuneo fiscale tra costo del lavoro e busta paga.
L’altro paradosso, in questa situazione di difficoltà, è rappresentato dallo sbarramento che la destra al potere erige contro i migranti. Si moltiplicano gli studi che vedono solo negli arrivi dall’estero un futuro per il nostro paese per vecchi, afflitto dalla scarsa natalità, ma il governo non vuole assolutamente incentivare questi arrivi, nonostante l’evidenza della loro necessità. Fa fede quanto è occorso l’altro giorno in occasione del click day. I flussi dall’estero consentiti dal governo per il 2023 erano pari a 82.705 persone, le imprese hanno fatto arrivare richieste per 240mila unità. Questo vuol dire che ci saranno almeno 160mila posti di lavoro che avrebbero potuto essere coperti e che invece resteranno deserti. Si parla di una riapertura dei massimali, ma la procedura è lenta e difficile. E poi l’atteggiamento della maggioranza di governo non lascia molte speranze. I deputati della Lega hanno presentato ben 21 emendamenti al decreto Cutro, quello, proprio sui migranti, che è stato varato dal Consiglio dei ministri sulla riva di quel mare dove si era consumata la tragedia per 90 persone. Emendamenti, affermano coloro che li hanno studiati, che puntano a rieditare quei decreti in tema di immigrazione che Matteo Salvini aveva fatto approvare dal governo Conte I e che il Conte II aveva eliminato.
In questi paradossi il paese si sta impoverendo e, soprattutto, crescono quelle diseguaglianze che mettono in forse la sua stessa crescita. Forse, come chiede il rapporto Cariplo , è tempo di passare da un atteggiamento di attesa a uno di iniziativa. Non è più sufficiente, afferma Giovanni Fosti, il presidente della Fondazione Cariplo, creare opportunità, è necessario portare queste opportunità allo scoperto, proprio dove ce ne sono di meno, andare a cercare chi ha una condizione più fragile e sostenerlo nel proprio percorso. Non è facile, ma la via è obbligata.
Massimo Mascini