La tradizione abruzzese nelle vene, il dialetto nel sangue, e una storia familiare che conosce bene la fatica contadina. Eppure, Lara Molino aveva scelto di cantare in inglese e in italiano le sue canzoni. Poi succede qualcosa, le scatta dentro la voglia di riprendere un filo interrotto della memoria: quello dei canti di lavoro. Mataléne è il suo nuovo singolo. Alla carriera di musicista affianca quella di musico-terapeuta.
Lara Molino, cosa l’ha fatta appassionare a questo canto della tradizione e decidere di farne una sua versione?
Fino ad alcuni anni fa avevo sempre cantato in inglese, o al massimo in italiano. Poi mi sono imbattuta in un canto di lavoro tradizionale in francese, di cui ne esiste anche una bellissima versione in italiano cantata da Domenico Modugno, Amara terra mia. Così ho deciso di provare a interpretarne una alla maniera della tradizione popolare abruzzese, e ho scoperto un sound tutto nuovo. Durante le prove ho cominciato a lavorare sulla ritmica, poi ci ho messo sopra le parole e così mi sono detta che sarebbe stato questo il mio nuovo singolo. Il canto racconta di quando si andavano a raccogliere le canne, di cui non si buttava via niente. E mentre si lavorava, si cantava, per far passare il tempo più in fretta, oltre che per imprimersi un ritmo di lavoro attraverso il canto. Era anche un modo per distrarsi e sorridere, nonostante la stanchezza. A un certo punto la canzone dice “la foglia gialla mi ha tagliato il dito” perché lavorando ci si poteva anche far male e allora ho colto questa espressione come una metafora dell’amore che fa soffrire. Mataléne infatti parla di lavoro, ma parla anche di due innamorati. Lei scappa di casa per cercare il suo amore e incontrarlo in campagna.
I canti di lavoro, come questo, sono spesso di autore anonimo, perché di fatto nascono dalla tradizione orale. Spesso venivano cantati anche in occasioni diverse.
Sì, si cantavano in casa durante le feste, si intonavano a più voci. Sono dei cori incredibili, che io ho potuto riascoltare nelle registrazioni degli etnomusicologi, tutte voci in polifonia di contadini che improvvisavano e sapevano naturalmente cantare. Ho voluto fare una cosa simile, anche se in chiave più moderna, insieme alle cantatrici d’Abruzzo.
I canti di lavoro sono depositari di una tradizione di lotta. In alcune parti del mondo, come in America, da quella tradizione sono nati generi musicali immensi come il jazz, il soul, il rhythm and blues. Perché in Italia questa tradizione, secondo ei, si è interrotta?
Quando incontro le persone più anziane che ascoltano il brano mi dicono di ricordarlo ancora a memoria. Si emozionano. Io non so perché questo filo si sia spezzato, ma so che se non fosse stato per i nostri etnomusicologi, oggi non avremmo neanche le testimonianze che hanno registrato andando nelle campagne, negli anni sessanta e settanta. Forse anche da qui è nata la voglia di intraprendere questo tipo di percorso, dando un sound nuovo a quei canti antichi, che a volte si cantavano anche da una campagna all’altra, a ettari di distanza. Erano un espediente per prendere in giro il padrone, per sfogarsi, per farsi forza a vicenda, rispondendosi da una proprietà a un’altra. Non bisogna dimenticare da dove proveniamo. In fondo, le lotte di oggi sono quelle di ieri. Io per esempio vengo da una famiglia di contadini, l’amore per la terra è una cosa bellissima, per quella zolla di terra per cui si fanno tanti sacrifici. L’Abruzzo ha un’identità contadina molto forte e anche una storia di emigrazione: verso il Belgio, l’America, la Germania. A loro ho dedicato il pezzo 8 agosto 1956, sulla vicenda di Marcinelle.
Tornando alla musica, cosa l’ha spinta a lasciare una carriera da cantautrice in inglese e in italiano per comporre in dialetto abruzzese?
L’amore per il dialetto pian piano è cresciuto in me perché ho un papà che si chiama Michele, che è un bravissimo poeta. La prima canzone in dialetto che ho composto è nata quando ho deciso di musicare una sua poesia. Ho scoperto che mi piaceva, ma la risposta definitiva me la sono data componendo le musiche per uno spettacolo. Proprio il regista mi ha incoraggiato a seguire questa strada, anche per via del mio timbro vocale, che si sposa bene con la musica popolare. Lui mi ha spinta a riprendere il nostro repertorio tradizionale, ma anche a credere in me, a darmi fiducia. Una cosa non facile, perché si trattava di perdere totalmente il pubblico che fino a quel momento mi aveva seguita. Non sono famosa, sono rimasta sempre nella nicchia, ma frequentavo i grandi eventi internazionali, avevo dei produttori. Scegliere, significava anche scegliere di rinunciare a tutto questo.
E allora cos’ha fatto?
L’ho fatto. Ho aperto un’associazione culturale a San Salvo, il mio paese. Si chiama Non solo musica, e ho iniziato a comporre in abruzzese. Il mio primo album si intitola Forte e gentile, perché dedicato all’Abruzzo, ma anche a una donna in particolare: Nicoletta Zappetti, una contadina che credeva in Dio e nella bandiera rossa e che mi ha dato tanta ispirazione.
La sua è una storia di coraggio, non è facile abbandonare una carriera avviata per seguire il richiamo di un’ispirazione.
Lo so, ci ho pensato tanto, non è stata una scelta fatta a cuor leggero. Ma mi sono chiesta “come ti senti Lara a interpretare queste cose? Ti piace, ti emozioni?” E ho trovato la risposta. Se un grande come Domenico Modugno è stato affascinato da questi canti, da queste parole, allora perché non posso farlo io? Ho cantato anche in altri dialetti: napoletano, siciliano. Ma l’abruzzese è il mio. Io insegno musicoterapia e anche i miei allievi più giovani si stanno appassionando a questa tradizione. Una delle mie canzoni che va di più è quella dedicata a Pomponio, un brigante della provincia di Chieti. Penso che sia importante che i ragazzi si appassionino a questa tradizione, addirittura in una scuola di San Salvo una classe ha studiato e imparato una mia canzone. Una gioia immensa.
Possiamo definirla una cantastorie più che una cantautrice? Quali sono i suoi prossimi progetti?
Sì, cantastorie mi piace molto. In queste settimane sto lavorando alla scrittura di uno spettacolo teatrale e musicale che ha come protagoniste le donne lavoratrici. Credo che sia il lavoro della mia vita, perché mette insieme il teatro e la musica per raccontare i temi a me più cari. Mataléne in qualche modo, come singolo, anticipa lo spettacolo, con il quale debutteremo nel 2025. Si intitolerà Per il pane. E allora, spero, ci risentiremo.
Antonia Fama
(Intervista da Collettiva.it)