Botta e risposta. A fine mattinata di mercoledì 4 maggio, Cesare Damiano, deputato Pd e Presidente della Commissione lavoro della Camera, aveva detto di apprezzare le recenti dichiarazioni di Tommaso Nannicini, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, “secondo cui il Governo intende affrontare la questione della flessibilità in uscita”. Ed ecco che, appena dopo poche ore, è lo stesso Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, a scrivere, rispondendo a una domanda ricevuta sul suo profilo Facebook, che il Governo sta lavorando per mettere a punto un dispositivo relativo alla flessibilità in uscita. “Si chiamerà Ape”, che, a quanto si comprende, sta per Anticipo pensione. Una risposta improvvisata? No perché, secondo Renzi, il simbolo e il logo sono già pronti.
Flessibilità è una parola che, nel gergo politico-economico, viene usata, da qualche anno, come il prezzemolo. Ma in questo caso, è bene dirlo subito, stiamo parlando di un certo grado di flessibilità nelle uscite dal lavoro verso il pensionamento. Un problema che è diventato sempre più acuto dopo la riforma che porta il nome del Ministro del Lavoro del governo Monti, la professoressa Elsa Fornero. Una riforma che infatti, secondo Damiano, ha “irrigidito” il nostro sistema previdenziale, avendo prolungato l’età pensionabile in termini secchi e cioè senza prevedere una fase di transizione in cui vi fosse una sua crescita graduale.
A prima vista si potrebbe pensare che, con la sua uscita serale, Renzi abbia voluto rispondere a Damiano. Ma in realtà le cose sono più complicate.
Per capire qualcosa di più di questo scambio di dichiarazioni, bisogna innanzitutto notare che si tratta di uno scambio asimmetrico. In mattinata, Damiano si era espresso con il massimo della formalità possibile, da parte sua. Aveva preso la parola, infatti, nel corso di una conferenza stampa convocata nella sala stampa di Montecitorio. L’incontro con i giornalisti era stato indetto, su iniziativa della Associazione Lavoro & Welfare, per presentare motivazioni e scopi di una petizione online lanciata sul sito www.progressi.org a sostegno della proposta di legge n.857/ 2013, di cui lo stesso Damiano è fra i primi firmatari assieme alla deputata Pd Maria Luisa Gnecchi e al sottosegretario Pier Paolo Baretta, anch’egli Pd.
Tale proposta di legge punta a rendere possibile una certa flessibilità in uscita, consentendo di lasciare il lavoro “con un anticipo fino a quattro anni rispetto ai requisiti oggi previsti” e con “penalizzazioni accettabili”. La proposta prevede, inoltre, che i lavoratori cosiddetti “precoci”, ovvero quelli che hanno cominciato a lavorare quando erano ancora molto giovani, possano “andare in pensione con 41 anni di contribuzione”, indipendentemente dall’età anagrafica e senza alcuna penalizzazione.
In serata, invece, Renzi ha parlato sì per la prima volta di questo suo progetto “Ape”, ma lo ha fatto, come detto, cogliendo l’occasione della risposta a una domanda ricevuta su Facebook. Insomma, il massimo dell’informalità. Che però non significa necessariamente anche il massimo dell’occasionalità. Come si è visto, infatti, alcuni giorni fa il neo-sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Nannicini, aveva fatto qualche accenno alla possibilità che il Governo prendesse in mano la questione della flessibilità in uscita dal lavoro verso l’accesso alla pensione. Inoltre, a quanto pare, i tecnici di Palazzo Chigi non si sono fatti trovare impreparati e hanno prospettato, ai giornalisti che li hanno contattati, ipotesi relativamente dettagliate circa i contenuti di un provvedimento legislativo concepito per andare in questa direzione.
Circa queste ipotesi, non pare per adesso il caso di tentare di darne una descrizione più ravvicinata, visto che si tratta solo di cenni informali a possibilità ancora abbastanza vaghe. Ci sono però un paio di aspetti delle cose scritte da Renzi, o suggerite dal suo entourage, che meritano di essere già affrontati.
La prima questione è quella relativa al veicolo legislativo e, quindi, ai tempo di questa possibile iniziativa. Infatti, si parla ormai esplicitamente della legge di stabilità per il 2017. Se ciò fosse vero, vorrebbe dire che le nuove norme dovrebbero essere discusse e approvate entro il corrente anno, ma comincerebbero poi a produrre i loro effetti non prima dell’inizio dell’anno prossimo. In passato, invece, si era parlato di un provvedimento che iniziasse a produrre effetti concreti già nel corso del 2016.
La seconda questione è quella delle penalizzazioni, ovvero delle decurtazioni che gli assegni pensionistici dovrebbero subire, per quei lavoratori che anticipassero il loro pensionamento rispetto a quanto previsto dalle regole oggi vigenti. La posizione espressa da Cgil, Cisl e Uil nelle manifestazioni tenute su base locale sabato 2 aprile, posizione ricordata peraltro nel corso della citata conferenza stampa da parte dell’on. Gnecchi, è avversa a qualsiasi forma di penalizzazione. La proposta 857, invece, contempla l’introduzione di penalizzazioni definite nella petizione come “accettabili”. Penalizzazioni ancora non definite dovrebbero, con ogni probabilità, essere parte anche della proposta su cui il Governo, secondo quanto anticipato da Renzi, sta lavorando.
La terza questione, forse la più spinosa, è quella del meccanismo che consentirebbe materialmente le uscite dal lavoro anticipate rispetto ai criteri fissati dalla legge Fornero. Ma occorre dire che rispetto a questa terza questione ci sono due aspetti da prendere in considerazione.
Primo aspetto. Sia i sindacati che la 857 sembrano pensare a quella che oggi Damiano ha definito, in una sua dichiarazione di replica a Renzi, come una “misura strutturale”. A quanto si comprende, il Governo starebbe pensando, invece, a una misura che potrebbe durare due o tre anni, cioè quel tanto che sarebbe necessario per consentire pensionamenti anticipati ai lavoratori nati fra il 1951 e il 1953, cioè a quelli più fortemente penalizzati dallo “scalone” introdotto dalla Fornero.
Secondo aspetto. A quanto si apprende, pare che il Governo stia pensando a un meccanismo complesso che consentirebbe ai dipendenti di ritirarsi dal lavoro ricevendo inizialmente determinati corrispettivi di reddito da soggetti terzi, come gli istituti di credito, che sarebbero poi gradualmente rimborsati dall’Inps grazie alle previste penalizzazioni. Nella conferenza stampa di ieri, i promotori della petizione si sono invece espressi a favore di pensionamenti penalizzati sì, ma veri e propri fin dall’inizio.
Come si vede, la materia è complessa e, quando ci si troverà di fronte a proposte definite, come il possibile testo unificato delle proposte giacenti in Parlamento o come le ancora inedite proposte di fonte governativa, ci sarà tempo e modo per farne un esame ravvicinato.
Per adesso, si tratta di prendere nota del fatto che, su questa stessa materia, l’Esecutivo guidato da Matteo Renzi sta mostrando di non essere insensibile alle voci che si sono da tempo levate invocando una revisione almeno di alcuni aspetti della riforma Fornero. Voci sindacali, certo, ma anche interne al Parlamento e, soprattutto, al Pd. E questa, di per sé, non è una piccola novità.
Intanto, le firme raccolte in calce alla petizione su progressi.org hanno superato la soglia delle 15.000.
@Fernando_Liuzzi