Venticinque anni fa Massimo D’Alema scrisse un libro che si intitolava “Un paese normale”. L’autore, che allora era il segretario del Pds, ragionava insieme a Gianni Cuperlo su quanto e cosa dovesse fare la sinistra italiana, soprattutto diventare una forza liberal-democratica, per aiutare l’evoluzione del nostro quadro politico, fino a farlo diventare appunto normale. Con un’alternanza fisiologica tra destra e sinistra, senza demonizzazioni reciproche, ma con regole chiare da tutti rispettate che potessero far diventare l’Italia appunto normale.
Ora, a parte il fatto che ci sarebbe molto da discutere su cosa sia “normale” e cosa no (basterebbe pensare al lavoro dello psichiatra Franco Basaglia sulla “malattia mentale”, ma questa è un’altra storia), oppure sulla teoria che la sinistra per contare debba per forza essere liberal-democratica, possiamo tranquillamente sostenere che oggi il nostro paese non è affatto normale. E non tanto perché gli auspici di D’Alema non si siano realizzati, ma proprio per la situazione politica che stiamo vivendo da quasi un anno. Possiamo fare finta che l’attuale maggioranza con tutti (quasi tutti) dentro sia l’unica possibile durante un’emergenza sanitaria ed economica così profonda e devastante, anche se non è così: in fondo il governo giallorosso di Conte non faceva tanto schifo, essendo stato capace di fronteggiare la pandemia senza neanche avere i vaccini a disposizione. Possiamo credere che il confine tra destra e sinistra sia ormai molto labile e a volte invisibile, anche se è così fino a un certo punto. Possiamo illuderci che prima o poi torneremo a una sana alternanza tra progressisti e conservatori, anche se al momento questa “normalità” non si intravvede nemmeno col binocolo. Ma tant’è, in fondo si tratta di anomalie che sono intrinseche al nostro sistema politico e istituzionale dal dopoguerra in poi, prima o seconda Repubblica che fosse.
Quel che invece è un inedito assoluto nella nostra storia, e che rappresenta il massimo dell’anormalità, si chiama Mario Draghi. Al di là di sé stesso. Qui non è in discussione il valore del personaggio, e nemmeno le sue idee che si possono condividere o meno. Non si tratta di contestare le sue capacità di governare l’Italia, le ha dimostrate e continua a dimostrarle nonostante qualche battuta d’arresto e qualche pasticcio (mediazioni al ribasso con i partiti che lo sostengono) nelle ultime settimane. Tantomeno si può negare la sua autorevolezza nel mondo, e soprattutto in Europa. Lui è solo il sintomo della nostra anormalità, la causa è la nostra classe dirigente. Quindi tutti noi che questa classe dirigente ce la siamo scelta o forse l’abbiamo subita.
“E’ mai possibile, o’ porco di un cane, che le avventure in codesto reame debban concludersi sempre con grandi puttane…” cantava Fabrizio De André. Lasciamo stare le grandi puttane, che pure esistono in Parlamento, che si chiamano franchi tiratori e che avranno il loro peso nei voti segreti quando si tratterà di eleggere il Presidente della Repubblica. Guardiamo invece a come l’avventura che stiamo vivendo ci dimostra per l’ennesima volta quanto l’Italia sia lontana anni luce da quel Paese normale auspicato da D’Alema. Da mesi si discute di cosa farà Draghi da grande, se va o non va al Quirinale, se resta o non resta al governo, quanto le elezioni anticipate dipendano dalla sua scelta. Praticamente il Paese, cioè sessanta milioni di italiani, è appeso un sol uomo. Il quale uomo è finalmente uscito allo scoperto, facendo capire quale sia la sua intenzione per il prossimo futuro. Dicendo che lui è “un nonno al servizio delle istituzioni” e che “il governo andrà avanti anche senza di lui”, ha chiaramente comunicato al Paese che non gli dispiacerebbe affatto essere eletto al Colle. Aggiungendo però che se la sua maggioranza dovesse votare in ordine sparso sul Quirinale, allora difficilmente potrebbe restare unita a sostenere il governo. In parole povere, un secco ricatto: o mi votate uniti come Capo dello Stato, e poi vi beccate una mia controfigura a palazzo Chigi che governi in mio nome, oppure si sfascia tutto e si corre alle elezioni.
Panico tra i partiti, fibrillazione tra i parlamentari, giornali e televisioni in subbuglio. E’ normale tutto questo? Ovviamente non lo è. Eppure sono più di settant’anni che viviamo in una democrazia, dovremmo essere capaci di mettere in campo tutti i poteri costituiti e tutti gli uomini e le donne in grado di governarci anche senza Draghi. Se, per esempio, lui domani decidesse di ritirarsi nella sua campagna umbra, cosa succederebbe? Il Paese crollerebbe in un buco senza fondo? Questa, purtroppo, è la sensazione che ci trasmette il dibattito pubblico, dalla politica ai mass media. Confermandoci quando sia profonda la nostra crisi di Sistema e quanto siamo lontani dalla costruzione di un Paese normale. Che invece non dovrebbe mai contare su un uomo solo ma su un’intera classe dirigente, fatta di partiti, sindacati, imprenditori, regioni, comuni e via dicendo. Cioè i famosi corpi intermedi. Invece no, tutti in spasmodica e nervosa attesa di sapere cosa farà Draghi, dalla destra alla sinistra passando per il centro. E allora risulta evidente la nostra classe dirigente sia totalmente inadeguata a guidare il Paese, incapace di contare su sé stessa. Totalmente subalterna alle decisioni, ai desideri, alla fine anche ai capricci di un uomo che ci viene presentato come il Messia, il Salvatore, una sorta di Supereroe che purtroppo si reputa tale ma tale però non può essere. In fin dei conti anche Mario Draghi è un uomo, magari più esperto, ma comunque un uomo.
Beati quei popoli che non hanno bisogno di eroi, diceva Bertold Brecht. Evidentemente non parlava di noi.
Riccardo Barenghi