“Come sono i rapporti col governo?” “Pessimi”, risponde Maurizio Landini. “Giudicheremo dai fatti”, risponde invece, più diplomatico, Emanuele Orsini.
Il primo confronto pubblico tra il segretario della Cgil e il neo presidente di Confindustria si svolge davanti alla platea affollatissima della Festa romana del Fatto Quotidiano. Le risposte dei due leader alla domanda sopra citata sono entrambe scontate: Landini conferma quello che tutti sanno, e cioè le distanze abissali tra Corso Italia e palazzo Chigi, Orsini a sua volta conferma la prudenza delle imprese nei confronti dei governi, coi quali non è salutare fare a botte fin dall’inizio (anche se non esita a rimarcare i ritardi di Industria 5.0)
In realtà il dibattito (Orsini in collegamento, Landini sul palco) è stato più utile a capire i rapporti tra i due leader, cercando di intravvedere possibili punti di incontro dopo che lo stesso Orsini ha proposto di presentarsi al governo con un pacchetto di richieste comuni, in modo da rafforzare la pressione. E a parte la sicurezza sul lavoro, argomento drammatico sul quale davvero è impossibile dividersi, due temi suscettibili di sviluppi futuri dal dibattito effettivamente sembrano emergere. Il primo è la legge sull’autonomia differenziata, il secondo la transizione energetica. Non che Orsini e Landini la pensino esattamente nello stesso modo, certo, ma quanto meno, nel complesso, non sembrano su sponde diametralmente opposte, come invece restano nella valutazione del Jobs act: male assoluto per Landini, che ha promosso un referendum per abrogarlo, ottima legge per Orsini, che considererebbe ‘’un brutto salto nel passato’’ la sua abolizione.
Ma in altri casi le distanze non sono siderali. Sull’autonomia, per dire, mentre Landini è convinto sponsor del referendum per la sua abolizione, – e infatti annuncia che il 26 settembre depositerà, assieme agli altri promotori, circa un milione di firme raccolte in poche settimane- Orsini prende tempo e afferma che, prima di pronunciarsi, occorre un confronto interno al mondo delle imprese: “il 27 e 28 settembre – annuncia – terremo un consiglio generale che avrà al centro proprio l’autonomia differenziata. D’altra parte, rappresentiamo 150 mila imprese, per prendere una posizione occorre parlare con i nostri associati”. E tuttavia nel frattempo non nasconde i propri dubbi, in particolare sulla questione energia: mentre si cerca di realizzare una politica energetica e di costi a livello europeo, si chiede il presidente di Confindustria, “come si può pensare di affrontarla in Italia regione per regione? Il nostro interesse è che le aziende siano competitive, e l’energia è uno dei temi cruciali da questo punto di vista”. Cruciale anche dal punto di vista dei lavoratori, “perché sono costi che scontiamo e si ripercuotono sui salari”.
Tema, quello dell’energia, che si lega direttamente all’altro capitolo sul quale imprese e sindacati potrebbero trovare una sorta di visione comune, e cioè la transizione energetica e ambientale. Il green deal non piace agli imprenditori ma nemmeno alle categorie dell’industria delle confederazioni, che fin da subito hanno criticato le tappe forzate alle quali costringe il piano europeo, lanciando ripetuti allarmi sui rischi che correrebbero le aziende dei settori energivori italiane. Gli stessi su cui si sofferma Orsini, rivelando, tra l’altro, di aver parlato del problema anche con Elly Schlein: “ceramica, acciaio, carta, chimica, shipment: se non si cambia la tabella di marcia di questi settori resterà un deserto. E il packaging, lo ricordo, lo abbiamo dovuto riprendere per i capelli”.
Ma soprattutto c’è il capitolo automotive. Orsini e Landini ritengono che la scadenza del 2035 per la fine motore tradizionale sia una sorta di lapide sull’auto italiana, che seppellirà anche 70 mila posti di lavoro. Spostare la data di qualche anno, avverte Osini, serve solo a rinviare un problema che resterebbe comunque incombente. Infatti, afferma Landini, “la transizione va ripensata”, ma non è semplice capire come: “perché se non si può accettare a queste condizioni il passaggio all’elettrico, non si può nemmeno difendere strenuamente il motore a benzina, pur sapendo che è destinato a finire”.
Ma per salvaguardare il futuro dell’industria, butta lì Orsini, può aiutare anche il piano casa ideato da Confindustria per sopperire alla scarsità di abitazioni che aggrava la difficoltà nel reperire mano d’opera: “nella mancanza di persone per le fabbriche pesa anche non avere case da offrire agli operai. Noi pensiamo a una offerta calmierata, con affitti che non possano superare il 25% del salario. Un progetto che dovrebbe trovare spazio nella legge di bilancio, noi ci speriamo”. Landini, però, su questo resta freddo, e intanto lancia la suggestione di una prossima grande mobilitazione nazionale per la difesa dell’industria e del lavoro; ma sarà una mobilitazione contro il governo che non fa il suo dovere con gli investimenti, non contro la Confindustria.
Tirando le somme: come primo incontro pubblico tra i due leader, il clima sembrerebbe positivo. La settimana prossima, con l’assemblea di Confindustria del 18 settembre, si saprà anche qualcosa di più sulla linea che il nuovo presidente intende applicare nel suo mandato alla guida dell’associazione. Poi ci sarà finalmente l’incontro ufficiale, annunciato ad agosto, a cui parteciperanno tutti i sindacati. E lì si vedrà se sono rose, e se davvero fioriranno, producendo un piano comune.
Nunzia Penelope