Maurizio Landini apre al governo. Sembra questa la spiegazione della lettera che il segretario generale della Cgil ha inviato alla premier chiedendole di convocare un incontro tra esecutivo e rappresentanti dei lavoratori. Un incontro “vero”, tra i sindacati effettivamente rappresentativi, escludendo comprimari di dubbia consistenza, soprattutto in grado di andare a fondo sugli argomenti di maggior rilievo, quelli che stanno davvero a cuore ai lavoratori. Giorgia Meloni non ha ancora risposto, ma avrebbe tutto l’interesse a tessere una tela di accordo, o anche solo di cauto avvicinamento, al mondo sindacale. È quanto lei stessa sollecitava nell’incontro di metà agosto nella Sala Vede di Palazzo Chigi con i vertici dei partiti di opposizione quando indicava l’utilità di un lavoro del governo con le forze sociali per arrivare a “una proposta di legge che possa davvero rispondere a chi cerca un lavoro e a chi ce l’ha ma non è sufficiente per una vita dignitosa”.
In questa situazione si è velocemente inserito Luigi Sbarra che ha sollecitato l’”amico Landini” a unire le forze per riuscire a stringere in un angolo l’esecutivo e così ottenere un nuovo patto sociale. Sono mesi che il segretario generale della Cisl preme per questo obiettivo e non poteva non cogliere l’occasione di questa improvvisa adesione del leder della Cgil all’idea di un patto sociale. Nessun sindacalista ignora che se le tre confederazioni sono divise tutto il sindacato diventa più debole e le divergenze, anche forti, degli scorsi mesi tra le due più grandi centrali sindacali sono state vissute dalla Cisl come dalla Cgil con grande dolore: se questo periodo può passare e si torna a marciare assieme, nessuno se ne può dolere.
Resta da capire se l’obiettivo di Landini sia quello di stringere il governo a un confronto serio o se invece la lettera inviata alla premier sia solo un modo di farsi dire di no e avere poi le mani libere per fare opposizione politica. I giornali di destra, naturali supporter del governo di destra, affermano che Landini ha in testa solo lo sciopero generale e portano ad avvalorare la loro ricostruzione la consultazione che la Cgil avvierà tra qualche giorno tra i propri iscritti sulla piattaforma che vorrebbe discutere con il governo e sull’opportunità di andare poi a sostenere questa piattaforma con tutti i mezzi, fino allo sciopero generale. A parte il fatto che voler sentire gli iscritti sulla possibilità di uno sciopero generale non vuol dire che ci si debba poi necessariamente arrivare, vale sempre il detto latino “si vis pacem para bellum”, per cui chi si arma può farlo per tante ragioni, anche quelle di dimostrare la propria forza per sedersi poi al tavolo di trattativa e lì giocarsi le carte che si hanno in mano. Landini ha sempre negato qualsiasi matrice politica della sua strategia, ha sempre ripetuto che lui è un sindacalista e tale vuole rimanere, quindi è da credere che il suo obiettivo sia quello di arrivare a un accordo, nella migliora tradizione della Cgil. Il compito del sindacato è quello di fare buoni accordi con la controparte, quale che essa sia. Come non ricordare l’accordo, importantissimo, che Sergio Cofferati nel 1994 raggiunse con Silvio Berlusconi, che pure era il “grande nemico”?
Il problema è come arrivare a questo accordo, certo non facile. Landini ha indicato sei rivendicazioni da affrontare, tutte molto complesse e costose, e certo una riduzione di queste richieste aiuterebbe l’avvio del negoziato. Ma certo non è questo il momento di fare sconti, ce ne sarà quando sarà stato avviato il confronto, si sarà fatta tanta strada e, per tagliare l’ultimo traguardo, si faranno, allora sì, delle concessioni. Le trattative si fanno così. E quindi l’unica cosa giusta da fare sembra proprio quella di avviare il confronto e vedere come procede.
Potrebbe non essere impossibile. Luciano Capone, in un ottimo lungo articolo che ha pubblicato il 1° maggio su Il Foglio, elenca una serie di argomenti su cui a suo avviso governo e sindacato continueranno a scontrarsi, altri su cui le due parti hanno visioni coincidenti, altri ancora su cui è possibile dialogare e trovare un’intesa. Non saranno quelli giusti, forse, le difficoltà rischiano di essere insormontabili in alcuni casi, ma solo il tavolo di trattativa può dire quali risultati siano possibili, quali no. Importante è esserci, avviare questo confronto, perché questa potrebbe essere davvero l’ultima chiamata per le parti sociali, come l’ha definita Rita Querzé sul Corriere della sera, l’ultima occasione per dimostrare di esistere. Il governo di Giorgia Meloni non ha mai nascosto quanto meno l’ambizione a rappresentare direttamente i lavoratori, se necessario, o anche solo possibile, senza l’intermediazione dei sindacati. Non siamo alla disintermediazione di Matteo Renzi, ma la voglia di rappresentare direttamente le persone è forte, al di là delle radici da destra sociale della premier. Proprio perché gli operai votano in massa a destra e il loro partito più rappresentativo è Fdi, tanto più il sindacato deve mostrare chi è che rappresenta non la classe operaia, ammesso che ci sia ancora e sia così catalogabile, ma certamente i lavoratori. E un grande accordo è il mezzo più chiaro e veloce per cogliere questo risultato.
Massimo Mascini