E’ davvero una scommessa ambiziosa quella promossa dalla Cgil sui temi del lavoro. Brucia il ricordo del referendum sull’abrogazione di alcuni punti di scala mobile perso nel 1985. Nello stesso dibattito preparatorio erano emersi timori, perplessità. Superati in larga misura dal fatto che il verdetto su quel che resta dell’articolo 18, é stato accantonato per volontà della Consulta. Mentre hanno acquistato ulteriori consensi gli interrogativi referendari su temi come quelli degli appalti e dei voucher moltiplicati a dismisura.
Certo una massiccia riduzione dei voucher e il loro incasellamento in operazioni davvero provvisorie, attraverso nuovi approdi legislativi, farebbero superare la prova del voto su questo aspetto, lasciando aperti gli interrogativi sugli appalti. Ha affermato Nino Baseotto segretario confederale: “Se si faranno due leggi che superano davvero i nostri quesiti festeggeremo la vittoria”.
Fatto sta che la CGIL può per ora registrare un successo “politico”. Quello di aver fatto ritornare al centro dell’interesse nazionale le questioni spesso drammatiche del lavoro che manca. Lo si è visto nelle oltre cento manifestazioni annunciate in tutta Italia sabato 11 febbraio. E lo si è visto anche attorno a un altro denso capitolo della sua iniziativa, quella inerente una nuova carta dei diritti universali, capace di ricostruire un diritto del lavoro complessivo. Qui si è giunti, attraverso incontri con le diverse formazioni politiche, alla promessa di portare la proposta di legge, firmata da milioni di cittadini, in una specifica sessione parlamentare. Nessuno ha posto veti a tale impegno. Sembra prendere piede l’idea che, a parte i giudizi sul Jobs Act, più o meno lusinghieri, le nuove norme, gli incentivi concessi agli imprenditori, la possibilità di cancellare il reintegro, in caso di licenziamenti ingiusti, per tradurlo in una cifra in denaro, non hanno rappresentato una risposta decisiva alle attese di un esercito crescente di giovani.
Certo questi primi risultati politici di cui la CGIL va fiera sarebbero con tutta probabilità rinviati a non si sa quando se vincesse l’ipotesi di promuovere elezioni politiche anticipate. Anche se c’è chi sostiene che si potrebbero tenere nella stessa giornata elezioni e referendum. Un rinvio del voto referendario risulterebbe, tra l’altro, una concessione a quel cosiddetto “populismo” che trova le sue fortune proprio sui temi dimenticati del lavoro. Temi riproposti in modo tragico dal dramma del trentenne Michele, portato a uno sconvolgente suicidio.
Questa scommessa della CGIL, con le sue caratteristiche politiche, avrebbe bisogno, certo, di essere accompagnata, oltre che da un collegamento unitario con Cisl e Uil, da una scommessa contrattuale. Ovvero la scommessa di poter coinvolgere, nelle trattative sui contratti nazionali ma soprattutto nelle contrattazioni aziendali, giovani con contratti atipici e precari. Magari sostenendo misure che aumentino la produttività, e quindi la crescita, non attraverso tradizionali forme di sfruttamento, ma con innovazioni nell’organizzazione del lavoro. Un contratto come quello dei metalmeccanici sembra aver aperto la strada a tali possibilità. Così, per esempio, con le misure previste sulla formazione, nonché sui premi di risultato collegati ad obiettivi di produttività. Gli interrogativi investono però la capacità dei sindacati e soprattutto delle Rsu di disporre il proprio impegno in questa scommessa contrattuale. È un campo sul quale si sono accumulati ritardi, come ha spesso sottolineato la stessa Susanna Camusso rilanciando, appunto, la necessità di una contrattazione “inclusiva”, capace di coinvolgere i tanti lavoratori atipici e precari. É un campo assai caro a Bruno Trentin che aveva dedicato gran parte della sua “quotidiana utopia” a un’organizzazione del lavoro che riconoscesse alla lavoratrice e al lavoratore spazi di autonomia e libertà. E non a caso, mi sembra, lo slogan CGIL per i referendum recita brevemente: “Libera il lavoro”. Con due Si.
Bruno Ugolini