«Devo svelare alcuni particolari: sono nato, come già ricordato, il 30 marzo del 1950, lo stesso giorno nel quale a Milano veniva firmato l’atto costitutivo della Fim-Cisl! E dalla segreteria nazionale mi sono dimesso il 30 marzo del 2000. Se qualcuno volesse vederci una piccola predestinazione…». Sì, Ambrogio Brenna la militanza ce l’ha scritta nel destino e la storia che ci regala con il suo L’albero vivo spacca la roccia (Edizioni lavoro, 128 pagine, 15,20€) dimostra la devozione di un uomo a un progetto di giustizia sociale cui ha contribuito con incessante ottimismo e intelligenza. Nella sua esperienza sindacale e politica Brenna ha dato tutto sé stesso, scavalcando ogni volta il pericolo dell’individualismo e mettendo la persona (la sua e quella degli altri) al centro di una rete di responsabilità condivise.
La vita di Ambrogio Brenna sembra contenerne altre mille e si resta affascinati nel seguirne le tappe, sempre descritte con una levità e disinvoltura che sorprende dinanzi alla caratura delle sue esperienze: l’infanzia a Senago, la famiglia operaia, il lavoro precoce all’età di undici anni come garzone prima da un falegname, poi da un panettiere e da un elettricista, la rinuncia allo studio che pure sempre ha inseguito, la malattia dovuta all’esposizione ai fumi della fonderia in cui ha lavorato, l’attivismo sindacale che ha dato il via alla lunga storia con la Fim-Cisl, il suo ininterrotto viaggio di diplomazia sindacale nel mondo, l’impegno politico con i Democratici e l’ingresso nella giunta della Regione Toscana in qualità di assessore allo Sviluppo e alle Attività Produttive. Ma anche le migliaia di incontri con personalità di eccezione e con gente comune, le assemblee appassionate e le trattative affrontate ogni volta a viso aperto, il riscatto sociale senza però mai rinnegare le sue origini, i suoi affetti che pure a volte ha trascurato per i suoi continui spostamenti, la passione per la cucina. Tutto a dimostrazione che le grandi idee, conquiste e traguardi sono sorrette da uomini e donne in carne e ossa, che mai hanno vissuto solo per sé stessi e che spesso sono scesi anche a compromessi con la vita. «Anche questo faceva parte del “mestiere” del sindacalista (evitando però il rischio del tuttologo) e questo impasto di relazioni, di abilità negoziali non viveva soltanto nelle trattative, ma era il portato di decine, di centinaia di momenti di discussione e confronto con piccoli e grandi eventi, grandi e piccole storie, decisioni prese per sé o per moltitudini. Avendo sempre presente che, se c’è una solitudine nel decidere, questa è temperata dalla certezza di appartenere a una comunità, che ti aiuterà, ti criticherà, ti spingerà a provare e riprovare, una comunità che ti vuole bene».
Ed è alla Fim-Cisl, “mia sorella”, che Ambrogio Brenna tributa la sua gratitudine – «[…] la Fim-Cisl è sempre stata con me generosa, mi ha dato tantissimo: se mi giro indietro, mi vedo nei cantieri, con tuta, guanti, maschera e occhiali, risento l’odore greve della Tonolli e allora penso che per me, come per un’intera generazione, l’impegno sindacale sia stato una grande occasione di promozione sociale […] Penso che larga parte di quello che sono, di quello che so, di quello che ho fatto lo debbo ai lunghi anni di militanza nella Fim Cisl e alle persone con le quali ho condiviso quella passione e quell’impegno, oltre che un rapporto filiale e fraterno. Questo sentirmi parte di quella “storia” mi ha sostenuto e mi ha spinto nell’impegno successivo, mi ha aiutato, mi ha interrogato continuamente e mi ha dato “sicurezza». In un rapporto di mutuo scambio, si intende, perché il sindacato ha potuto e può anche grazie alla statura di questo uomo instancabile.
La storia di Brenna è la storia di una generazione e di una stagione di conquiste cui guardiamo ancora con nostalgia. Ma le sue parole non sono intrise di malinconia, anzi: corre una tensione continua in ogni riga del racconto, uno slancio in avanti che fa capire che la lotta è ben lontana dall’essere compiuta e che lui stesso, per primo, sembra pronto a imbracciare nuovamente. «C’è uno stacco enorme tra quella storia, quelle vite, quelle speranze e quelle che invece ci accompagnano nel 2024», scrive nella postfazione Claudio Martini, politico e già presidente della regione Toscana affiancato proprio da Brenna. E quindi «cosa resta, nell’humus della società di oggi, di quella generosa e in tanti casi davvero disinteressata dedizione?». Tutto parrebbe cambiato, eppure quella preziosa eredità non cessa di essere perché i diritti di cui godiamo oggi – e che non sono dati per sempre – sono frutto di quella preziosa stagione di lotta politico-sindacale. «Ambrogio – scrive ancora Martini – porta una testimonianza fedele e lucida su valori e concezioni che resero tutto questo possibile ed efficace, su una cultura – oserei dire – che è quanto di più prezioso vi sia stato. La cultura della giustizia e della convivenza civile, della solidarietà. E dell’amicizia, del prendersi cura e del non voltare la faccia, del dialogo e del rifiuto della violenza. E, ancor di più, la cultura della sostanza e non dell’apparenza, della sobrietà e non dello sperpero, della semplicità E non della volgarità». A non essere cambiate sono le ingiustizie, che oggi hanno lo stesso volto di ieri, ma è possibile rompere questa continuità proprio guardando a esempi come quello portato da Brenna: «Tutto sta a trovare i contenuti nuovi, il modo giusto e il linguaggio adeguato per rilanciarle […] su questo dovranno mobilitarsi le generazioni di oggi e di domani. Ambrogio dà loro l’abbrivio di un bell’esempio e di idee sane».
Sviluppare e proporre idee originali sulla scia di quella generazione di sindacalisti che, come rileva nella postfazione Roberto Benaglia, già segretario generale della Fim-Cisl, è stata capace «di rompere gli schemi e aggregare nuovi bisogni di indispensabile identità e riscatto sociale […] Quella generazione di sindacalisti ha avuto pochi mezzi iniziali ma tanto coraggio e la possibilità di mettere in fila esperienze e vertenze costruttive e decisive, aggregando attorno alle stesse un forte valore collettivo e simbolico». Coraggio, dunque, ma anche iniziativa e urgenza di far tornare il sindacato protagonista in uno scenario devastato che urge dell’intervento di un attore sociale insostituibile. «Un sindacalista lavora sempre senza rete, in diretta con la realtà, con tanto pragmatismo e capacità di risolvere, sempre rimettendosi in discussione». Su insegnamento di Franco Bentivogli, l’albero vivo spacca la roccia: quell’albero è il sindacato e alla nuova generazione di sindacalisti si chiede di non essere solo rami.
Elettra Raffaela Melucci
Titolo: L’albero vivo spacca la roccia
Autore: Ambrogio Brenna
Editore: Edizioni Lavoro – Collana Strenne
Anno di pubblicazione: 2024
Pagine: 128 pp.
ISBN: 9788873136156
Prezzo: 15,20€