Se il 2024 ha registrato numeri importanti per l’occupazione, anche se in leggera contrazione sul 2023, con quasi 24 milioni di occupati e un tasso di impiego al 62,2%, l’Italia si conferma la terra delle grandi disparità, per territorio, genere e provenienza. I dati diffusi dal primo bollettino, nato dalla sinergia tra Cnel e Istat, sul mercato del lavoro raccontano un paese a macchia di leopardo.
Si passa, infatti, da un tasso di occupazione che supera il 70% per la Valle d’Aosta, le province autonome di Trento e Bolzano, e che si attesta a quella soglia o poco sotto in tutto il centro nord, per precipitare al 45 e al 44,8% di Campania e Calabria, percentuali che le pongono ai livelli più bassi in rapporto alle altre regioni dei paesi dell’Unione europea. Anche se, nel suo complesso, l’occupazione nel meridione cresce di 1,1 punti percentuali in più in raffronto alle altre aree del paese.
Le statistiche confermano che il part time rimane ad appannaggio delle donne, molto spesso non voluto ma alla fine indispensabile per assolvere ai compiti di cura che gravano ancora sulle spalle delle lavoratrici, con percentuali al 30% contro il 7% dei colleghi uomini. Anche nell’analisi territoriale non vengono evidenziate forti differenze sul part time delle donne, che è al 28,8% al sud, al 29,5% al centro e al 30,5% al nord. Così come i dati del bollettino avvalorano la segregazione occupazionale delle donne. Le costruzioni, con una quota dell’8,2%, sono il settore meno al femminile, seguite dall’agricoltura e dall’industria. Mentre nell’istruzione e nei servizi, soprattutto quelli alla persona, le lavoratrici sono la maggioranza, il 54,2%. Il gender gap occupazionale varia anche a secondo del titolo di studio. Il più alto si riscontra nella popolazione che non va oltre la licenza media. Qui gli uomini occupati sono il 60% contro il 30% delle donne. Un divario che si riduce, anche se non di molto, al salire del titolo di studio: 76,7% di uomini contro il 57,2% delle donne tra chi ha il diploma, e 86,2% di uomini contro il 79,3% tri i laureati o chi ha un titolo post laurea.
Infine dopo tre anni di calo il numero degli inattivi è tornato a crescere, con un incremento dello 0,5%, 56mila unità, arrivando a quasi 12milioni e 500mila persone, mentre i Neet, i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non si formano, sono 1,34 milioni. Numeri in assoluto significativi ma in costante diminuzione. Sul 2023 si registra infatti una riduzione del 4,8%. Nel 33,6% dei casi sono disoccupati, ossia hanno cercato attivamente un lavoro nell’ultimo mese e sono subito disponibili a iniziarlo, mentre gli strettamente inattivi sono il e 66,4%. Questi si dividono tra coloro che non hanno cercato attivamente un lavoro o non sono subito disponibili a iniziarlo ma potrebbero essere disposti a farlo sotto determinate circostanze, il 32,5%, e coloro che non cercano attivamente lavoro e non sono subito disponibili, il 33,9%.
tn