Ricordare il decreto-legge di San Valentino, con cui il 14 febbraio 1984 il primo governo a guida socialista della Repubblica guidato da Bettino Craxi, tagliò la scala mobile per combattere un’inflazione a due cifre, che erodeva salari, pensioni e risparmi, è utile per affrontare il problema del lavoro povero del nostro tempo in Italia.
La scala mobile, introdotta nel 1945 da un accordo interconfederale tra l’allora Cgil unitaria e Confindustria, era un meccanismo di adeguamento delle retribuzioni all’inflazione, attraverso i punti di contingenza a loro volta legati ad un paniere di beni a cui si faceva riferimento, come indice dei prezzi. Nel 1975, sull’onda della spinta rivendicativa e del forte potere sindacale conquistato con il ciclo di lotte nato nel 1969 con l’”Autunno caldo”, venne siglato un nuovo accordo, che prese il nome da Gianni Agnelli alla guida di Confindustria e Luciano Lama alla testa della Cgil (ma in realtà, era stata la Federazione unitaria dei metalmeccanici guidata da Bruno Trentin, Pierre Carniti e Giorgio Benvenuto a rivendicarlo con forza), tra le tre confederazioni e l’associazione degli industriali italiani, con il punto di contingenza che aumentava trimestralmente identico per tutti i lavoratori, quale simbolo delle politiche sindacali egualitarie del tempo. Erano gli anni segnati da un forte conflitto sociale, in cui esso assumeva – richiamando le tesi sulla “democrazia progressiva” di Lelio Basso e quelle sullo sciopero di Piero Calamandrei – anche la funzione di strumento di trasformazione sociale nel rispetto dell’assetto democratico voluto dalla Costituzione repubblicana.
Il decreto-legge del 14 febbraio 1984 fu imposto dal diktat del Partito comunista di Berlinguer al leader della Cgil Lama, che l’accordo voleva sottoscriverlo unitariamente con le altre confederazioni, così come Craxi, ed ebbe conseguenze storiche non solo sull’economia italiana, ma anche sulle relazioni sindacali e sullo stesso sistema politico.
Infatti, il taglio di 4 punti di contingenza, poi ridotti a tre, del meccanismo di scala mobile, con cui ogni tre mesi i salari si adeguavano automaticamente all’aumento dell’inflazione, in una spirale sud-americana, con un contributo primario derivante dai prezzi dei prodotti petroliferi e dal loro pagamento in dollari, a fronte delle continue svalutazioni della lira, innescò un importante ciclo economico, virtuoso, sfruttando l’elaborazione di Ezio Tarantelli, della predeterminazione dell’inflazione, per correlare i salari con l’aumento di prezzi e tariffe. L’economista neokeynesiano credeva nella politica dei redditi e nella concertazione tra istituzioni e parti sociali e pagò il suo impegno teorico con la vita, trucidato dalle Brigate Rosse il 27 marzo 1985, tre mesi prima del referendum sulla scala mobile del 9 e 10 giugno 1985 per l’abrogazione del provvedimento del governo.
Gli accordi triangolari del 1992 e del 1993 abolirono la scala mobile, in un ben diverso contesto politico – era scoppiata la c.d. “Tangentopoli”, ed economico, con una grave crisi della finanza pubblica – che vennero realizzati con il governo di Giuliano Amato prima e quello di Carlo Azeglio Ciampi dopo, utilizzando il modello di relazioni socio-istituzionali neo-corporativo tipico delle socialdemocrazie negli anni della Settanta del ‘900 e quello economico della politica dei redditi, possono avere una relazione con il tema della drammatica decrescita delle retribuzioni. Essi, infatti, vennero pensati esclusivamente in una logica di diminuzione dell’inflazione, senza meccanismi compensativi in presenza di un suo incremento, come è avvenuto negli ultimi anni.
Né appare da sola la contrattazione collettiva oggi in grado di recuperare la perdita del potere d’acquisto del mondo del lavoro italiano, a causa della crescente debolezza dei sindacati “storici” e delle loro divisioni, con leadership certamente non adeguate a quelle del passato.
In questo scenario di notevole incertezza sociale, a 40 anni dal “Decreto di San Valentino”, se la stessa introduzione del salario minimo potrebbe costituire un provvedimento solo parziale per contrastare l’impoverimento dei redditi da lavoro, è necessaria una istituzionalizzazione del sistema della rappresentanza collettiva e della contrattazione – come alcune voci avvertite del sindacalismo italiano da tempo propongono, è il caso del leader della Confial Benedetto Di Iacovo – per contrastare il dumping sociale e recuperare il gap retributivo con il resto d’Europa.
Maurizio Ballistreri, Professore di Diritto del Lavoro nell’Università di Messina